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La politica della Chiesa

11 gennaio 2011

CITTA’ DEL VATICANO – Martedì, 11 gennaio 2010 (Vatican Diplomacy). Riportiamo l’editoriale del direttore de L’Osservatore Romano.

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La politica della Chiesa

Agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede – un corpo diplomatico tra i più rappresentativi al mondo – il Papa ha spiegato il ruolo della Chiesa cattolica nel contesto internazionale. Una presenza attiva e rispettosa delle competenze delle autorità civili, animata da una convinzione: che solo Dio risponde al cuore dell’essere umano e che dunque la dimensione religiosa è “innegabile e incoercibile”. Questa è la radice profonda di quella che con un’espressione rapida viene definita la politica vaticana, la quale non cerca inesistenti privilegi ma solo libertà per la missione, caratteristica originaria e costitutiva della comunità cristiana.

Ecco allora la preoccupazione per la libertà religiosa, che per Benedetto XVI è elemento indispensabile nella costruzione della pace. Un diritto fondamentale, dunque, spesso leso o addirittura negato. Oggi è cresciuta la consapevolezza della gravità di questi fenomeni che offendono Dio e l’uomo, rendendo impossibile la convivenza. Si tratta di segnali molto positivi, come le voci preoccupate levatesi in diversi Paesi musulmani e in Europa di fronte alla crescita della cristianofobia e ai sanguinosi attentati che non hanno rispettato nemmeno i luoghi di culto.

L’analisi del Papa è andata alla radice dei pretesti che muovono le campagne di odio, soprattutto nell’immensa regione mediorientale: qui i cristiani – ha ripetuto con le parole del sinodo celebrato in ottobre – sono “cittadini originali e autentici”, come in Iraq ed Egitto, dove la tradizione cristiana è antica e vitale. Non estranei, dunque, ma desiderosi di contribuire alla costruzione del bene comune, fedeli a Dio e leali nei confronti della patria: in Medio Oriente, in Africa, in Cina, dovunque. Per questo Benedetto XVI ha chiesto alle autorità civili dei diversi Paesi gesti concreti a favore di un’autentica libertà religiosa, come l’abrogazione della legge pakistana contro la blasfemia.

Segnali positivi vengono anche dai Paesi di antica cristianità. Se infatti si moltiplicano tenaci tentativi di emarginare la religione – negando il diritto all’obiezione di coscienza in ambito sanitario e giuridico, sopprimendo simboli, imponendo nuove discipline scolastiche, inventando presunti diritti per coprire “desideri egoistici” – il Consiglio d’Europa ha adottato una risoluzione che protegge l’obiezione di coscienza dei medici, mentre molti si sono espressi per l’esposizione del crocifisso, come il Governo italiano seguito da quelli di altri Paesi, e il Patriarcato di Mosca.

Un quadro in chiaroscuro, dunque, dove lo sguardo di Benedetto XVI vede tragedie e difficoltà, ma anche segni positivi. Come è avvenuto per i riconoscimenti nel centenario della nascita di madre Teresa, emblema della politica della Chiesa. Che non pretende favori ma chiede la libertà di testimoniare e annunciare l’amore di Dio in favore di ogni essere umano.

g.m.v.

(©L’Osservatore Romano – 10-11 gennaio 2011)

Udienza al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede

11 gennaio 2011

CITTA’ DEL VATICANO – Martedì, 11 gennaio 2011 (Vatican Diplomacy). Pubblichiamo il video sul canale YouTube del Vaticano e gli articoli apparsi su L’Osservatore Romano di oggi:

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Il primo dei diritti dell’uomo

La traduzione del discorso del Papa al corpo diplomatico

Pubblichiamo una nostra traduzione italiana (dell’Osservatore Romano n.d.r.) del discorso rivolto dal Papa ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ricevuti in udienza nella mattina di lunedì 10 gennaio, nella Sala Clementina.

Eccellenze,
Signore e Signori,

Sono lieto di accogliervi per questo incontro che, ogni anno, vi riunisce intorno al Successore di Pietro, illustri Rappresentanti di così numerosi Paesi. Esso riveste un alto significato, poiché offre un’immagine e al tempo stesso un esempio del ruolo della Chiesa e della Santa Sede nella comunità internazionale. Rivolgo a ciascuno di voi saluti e voti cordiali, in particolare a quanti sono qui per la prima volta. Vi sono riconoscente per l’impegno e l’attenzione con i quali, nell’esercizio delle vostre delicate funzioni, seguite le mie attività, quelle della Curia Romana e, così, in un certo modo, la vita della Chiesa cattolica in ogni parte del mondo. Il vostro Decano, l’Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, si è fatto interprete dei vostri sentimenti, e lo ringrazio per gli auguri che mi ha espresso a nome di tutti. Sapendo quanto la vostra comunità è unita, sono certo che è presente oggi nel vostro pensiero l’Ambasciatrice del Regno dei Paesi Bassi, la Baronessa van Lynden-Leijten, ritornata qualche settimana fa alla casa del Padre. Mi associo nella preghiera ai vostri sentimenti di commozione.

Quando inizia un nuovo anno, nei nostri cuori e nel mondo intero risuona ancora l’eco del gioioso annuncio che è brillato venti secoli or sono nella notte di Betlemme, notte che simboleggia la condizione dell’umanità, nel suo bisogno di luce, d’amore e di pace. Agli uomini di allora come a quelli di oggi, le schiere celesti hanno recato la buona notizia dell’avvento del Salvatore: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9, 1). Il Mistero del Figlio di Dio che diventa figlio d’uomo supera sicuramente ogni attesa umana. Nella sua gratuità assoluta, questo avvenimento di salvezza è la risposta autentica e completa al desiderio profondo del cuore. La verità, il bene, la felicità, la vita in pienezza, che ogni uomo ricerca consapevolmente o inconsapevolmente, gli sono donati da Dio. Aspirando a questi benefici, ogni persona è alla ricerca del suo Creatore, perché “solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo” (Esort. ap. postsinodale Verbum Domini, 23). L’umanità, in tutta la sua storia, attraverso le sue credenze e i suoi riti, manifesta un’incessante ricerca di Dio e “tali forme d’espressione sono così universali che l’uomo può essere definito un essere religioso” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 28). La dimensione religiosa è una caratteristica innegabile e incoercibile dell’essere e dell’agire dell’uomo, la misura della realizzazione del suo destino e della costruzione della comunità a cui appartiene. Pertanto, quando l’individuo stesso o coloro che lo circondano trascurano o negano questo aspetto fondamentale, si creano squilibri e conflitti a tutti i livelli, tanto sul piano personale che su quello interpersonale.

È in questa verità primaria e fondamentale che si trova la ragione per cui ho indicato la libertà religiosa come la via fondamentale per la costruzione della pace, nel Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace di quest’anno. La pace, infatti, si costruisce e si conserva solamente quando l’uomo può liberamente cercare e servire Dio nel suo cuore, nella sua vita e nelle sue relazioni con gli altri.

Signore e Signori Ambasciatori, la vostra presenza in questa circostanza solenne è un invito a compiere un giro di orizzonte su tutti i Paesi che voi rappresentate e sul mondo intero. In questo panorama, non vi sono forse numerose situazioni nelle quali, purtroppo, il diritto alla libertà religiosa è leso o negato? Questo diritto dell’uomo, che in realtà è il primo dei diritti, perché, storicamente, è stato affermato per primo, e, d’altra parte, ha come oggetto la dimensione costitutiva dell’uomo, cioè la sua relazione con il Creatore, non è forse troppo spesso messo in discussione o violato? Mi sembra che la società, i suoi responsabili e l’opinione pubblica si rendano oggi maggiormente conto, anche se non sempre in modo esatto, di tale grave ferita inferta contro la dignità e la libertà dell’homo religiosus, sulla quale ho tenuto, a più riprese, ad attirare l’attenzione di tutti.

L’ho fatto durante i miei viaggi apostolici dell’anno scorso, a Malta e in Portogallo, a Cipro, nel Regno Unito e in Spagna. Al di là delle caratteristiche di questi Paesi, conservo di tutti un ricordo pieno di gratitudine per l’accoglienza che mi hanno riservato. L’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, che si è svolta in Vaticano nel corso del mese di ottobre, è stata un momento di preghiera e di riflessione, durante il quale il pensiero si è rivolto con insistenza verso le comunità cristiane di quelle regioni del mondo, così provate a causa della loro adesione a Cristo e alla Chiesa.

Sì, guardando verso l’Oriente, gli attentati che hanno seminato morte, dolore e smarrimento tra i cristiani dell’Iraq, al punto da spingerli a lasciare la terra dove i loro padri hanno vissuto lungo i secoli, ci hanno profondamente addolorato. Rinnovo alle Autorità di quel Paese e ai capi religiosi musulmani il mio preoccupato appello ad operare affinché i loro concittadini cristiani possano vivere in sicurezza e continuare ad apportare il loro contributo alla società di cui sono membri a pieno titolo. Anche in Egitto, ad Alessandria, il terrorismo ha colpito brutalmente dei fedeli in preghiera in una chiesa. Questa successione di attacchi è un segno ulteriore dell’urgente necessità per i Governi della Regione di adottare, malgrado le difficoltà e le minacce, misure efficaci per la protezione delle minoranze religiose. Bisogna dirlo ancora una volta? In Medio Oriente, “i cristiani sono cittadini originali e autentici, leali alla loro patria e fedeli a tutti i loro doveri nazionali. È naturale che essi possano godere di tutti i diritti di cittadinanza, di libertà di coscienza e di culto, di libertà nel campo dell’insegnamento e dell’educazione e nell’uso dei mezzi di comunicazione” (Messaggio al Popolo di Dio dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, 10). A tale riguardo, apprezzo l’attenzione per i diritti dei più deboli e la lungimiranza politica di cui hanno dato prova alcuni Paesi d’Europa negli ultimi giorni, domandando una risposta concertata dell’Unione Europea affinché i cristiani siano difesi nel Medio Oriente. Vorrei ricordare infine che la libertà religiosa non è pienamente applicata là dove è garantita solamente la libertà di culto, per di più con delle limitazioni. Incoraggio, inoltre, ad accompagnare la piena tutela della libertà religiosa e degli altri diritti umani con programmi che, fin dalla scuola primaria e nel quadro dell’insegnamento religioso, educhino al rispetto di tutti i fratelli nell’umanità. Per quanto riguarda poi gli Stati della Penisola Arabica, dove vivono numerosi lavoratori immigrati cristiani, auspico che la Chiesa cattolica possa disporre di adeguate strutture pastorali.

Tra le norme che ledono il diritto delle persone alla libertà religiosa, una menzione particolare dev’essere fatta della legge contro la blasfemia in Pakistan: incoraggio di nuovo le Autorità di quel Paese a compiere gli sforzi necessari per abrogarla, tanto più che è evidente che essa serve da pretesto per provocare ingiustizie e violenze contro le minoranze religiose. Il tragico assassinio del Governatore del Punjab mostra quanto sia urgente procedere in tal senso: la venerazione nei riguardi di Dio promuove la fraternità e l’amore, non l’odio e la divisione. Altre situazioni preoccupanti, talvolta con atti di violenza, possono essere menzionate nel Sud e nel Sud-Est del continente asiatico, in Paesi che hanno peraltro una tradizione di rapporti sociali pacifici. Il peso particolare di una determinata religione in una nazione non dovrebbe mai implicare che i cittadini appartenenti ad un’altra confessione siano discriminati nella vita sociale o, peggio ancora, che sia tollerata la violenza contro di essi. A questo proposito, è importante che il dialogo inter-religioso favorisca un impegno comune a riconoscere e promuovere la libertà religiosa di ogni persona e di ogni comunità. Infine, come ho già ricordato, la violenza contro i cristiani non risparmia l’Africa. Gli attacchi contro luoghi di culto in Nigeria, proprio mentre si celebrava la Nascita di Cristo, ne sono un’altra triste testimonianza.

In diversi Paesi, d’altronde, la Costituzione riconosce una certa libertà religiosa, ma, di fatto, la vita delle comunità religiose è resa difficile e talvolta anche precaria (cfr. Conc. Vat. ii, Dich. Dignitatis humanae, 15), perché l’ordinamento giuridico o sociale si ispira a sistemi filosofici e politici che postulano uno stretto controllo, per non dire un monopolio, dello Stato sulla società. Bisogna che cessino tali ambiguità, in modo che i credenti non si trovino dibattuti tra la fedeltà a Dio e la lealtà alla loro patria. Domando in particolare che sia garantita dovunque alle comunità cattoliche la piena autonomia di organizzazione e la libertà di compiere la loro missione, in conformità alle norme e agli standards internazionali in questo campo.
In questo momento, il mio pensiero si volge di nuovo verso la comunità cattolica della Cina continentale e i suoi Pastori, che vivono un momento di difficoltà e di prova. D’altro canto, vorrei indirizzare una parola di incoraggiamento alle Autorità di Cuba, Paese che ha celebrato nel 2010 settantacinque anni di relazioni diplomatiche ininterrotte con la Santa Sede, affinché il dialogo che si è felicemente instaurato con la Chiesa si rafforzi ulteriormente e si allarghi.

Spostando il nostro sguardo dall’Oriente all’Occidente, ci troviamo di fronte ad altri tipi di minacce contro il pieno esercizio della libertà religiosa. Penso, in primo luogo, a Paesi nei quali si accorda una grande importanza al pluralismo e alla tolleranza, ma dove la religione subisce una crescente emarginazione. Si tende a considerare la religione, ogni religione, come un fattore senza importanza, estraneo alla società moderna o addirittura destabilizzante, e si cerca con diversi mezzi di impedirne ogni influenza nella vita sociale. Si arriva così a pretendere che i cristiani agiscano nell’esercizio della loro professione senza riferimento alle loro convinzioni religiose e morali, e persino in contraddizione con esse, come, per esempio, là dove sono in vigore leggi che limitano il diritto all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari o di certi operatori del diritto.

In tale contesto, non si può che rallegrarsi dell’adozione da parte del Consiglio d’Europa, nello scorso mese di ottobre, di una Risoluzione che protegge il diritto del personale medico all’obiezione di coscienza di fronte a certi atti che ledono gravemente il diritto alla vita, come l’aborto.

Un’altra manifestazione dell’emarginazione della religione e, in particolare, del cristianesimo, consiste nel bandire dalla vita pubblica feste e simboli religiosi, in nome del rispetto nei confronti di quanti appartengono ad altre religioni o di coloro che non credono. Agendo così, non soltanto si limita il diritto dei credenti all’espressione pubblica della loro fede, ma si tagliano anche radici culturali che alimentano l’identità profonda e la coesione sociale di numerose nazioni. L’anno scorso, alcuni Paesi europei si sono associati al ricorso del Governo italiano nella ben nota causa concernente l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici. Desidero esprimere la mia gratitudine alle Autorità di queste nazioni, come pure a tutti coloro che si sono impegnati in tal senso, Episcopati, Organizzazioni e Associazioni civili o religiose, in particolare il Patriarcato di Mosca e gli altri rappresentanti della gerarchia ortodossa, come tutte le persone – credenti ma anche non credenti – che hanno tenuto a manifestare il loro attaccamento a questo simbolo portatore di valori universali.

Riconoscere la libertà religiosa significa, inoltre, garantire che le comunità religiose possano operare liberamente nella società, con iniziative nei settori sociale, caritativo od educativo. In ogni parte del mondo, d’altronde, si può constatare la fecondità delle opere della Chiesa cattolica in questi campi. È preoccupante che questo servizio che le comunità religiose offrono a tutta la società, in particolare per l’educazione delle giovani generazioni, sia compromesso o ostacolato da progetti di legge che rischiano di creare una sorta di monopolio statale in materia scolastica, come si constata ad esempio in certi Paesi dell’America Latina. Mentre parecchi di essi celebrano il secondo centenario della loro indipendenza, occasione propizia per ricordarsi del contributo della Chiesa cattolica alla formazione dell’identità nazionale, esorto tutti i governi a promuovere sistemi educativi che rispettino il diritto primordiale delle famiglie a decidere circa l’educazione dei figli e che si ispirino al principio di sussidiarietà, fondamentale per organizzare una società giusta.

Proseguendo la mia riflessione, non posso passare sotto silenzio un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione.

Signore e Signori Ambasciatori,

in questa circostanza solenne, permettetemi di esplicitare alcuni principi a cui la Santa Sede, con tutta la Chiesa cattolica, si ispira nella sua attività presso le Organizzazioni Internazionali intergovernative, al fine di promuovere il pieno rispetto della libertà religiosa per tutti. In primo luogo, la convinzione che non si può creare una sorta di scala nella gravità dell’intolleranza verso le religioni. Purtroppo, un tale atteggiamento è frequente, e sono precisamente gli atti discriminatori contro i cristiani che sono considerati meno gravi, meno degni di attenzione da parte dei governi e dell’opinione pubblica. Al tempo stesso, si deve pure rifiutare il contrasto pericoloso che alcuni vogliono instaurare tra il diritto alla libertà religiosa e gli altri diritti dell’uomo, dimenticando o negando così il ruolo centrale del rispetto della libertà religiosa nella difesa e protezione dell’alta dignità dell’uomo. Meno giustificabili ancora sono i tentativi di opporre al diritto alla libertà religiosa, dei pretesi nuovi diritti, attivamente promossi da certi settori della società e inseriti nelle legislazioni nazionali o nelle direttive internazionali, ma che non sono, in realtà, che l’espressione di desideri egoistici e non trovano il loro fondamento nell’autentica natura umana. Infine, occorre affermare che una proclamazione astratta della libertà religiosa non è sufficiente: questa norma fondamentale della vita sociale deve trovare applicazione e rispetto a tutti i livelli e in tutti i campi; altrimenti, malgrado giuste affermazioni di principio, si rischia di commettere profonde ingiustizie verso i cittadini che desiderano professare e praticare liberamente la loro fede.

La promozione di una piena libertà religiosa delle comunità cattoliche è anche lo scopo che persegue la Santa Sede quando conclude Concordati o altri Accordi. Mi rallegro che Stati di diverse regioni del mondo e di diverse tradizioni religiose, culturali e giuridiche scelgano il mezzo delle convenzioni internazionali per organizzare i rapporti tra la comunità politica e la Chiesa cattolica, stabilendo attraverso il dialogo il quadro di una collaborazione nel rispetto delle reciproche competenze. L’anno scorso è stato concluso ed è entrato in vigore un Accordo per l’assistenza religiosa dei fedeli cattolici delle forze armate in Bosnia-Erzegovina, e negoziati sono attualmente in corso in diversi Paesi. Speriamo in un esito positivo, capace di assicurare soluzioni rispettose della natura e della libertà della Chiesa per il bene di tutta la società.

L’attività dei Rappresentanti Pontifici presso Stati ed Organizzazioni internazionali è ugualmente al servizio della libertà religiosa. Vorrei rilevare con soddisfazione che le Autorità vietnamite hanno accettato che io designi un Rappresentante, che esprimerà con le sue visite alla cara comunità cattolica di quel Paese la sollecitudine del Successore di Pietro. Vorrei ugualmente ricordare che, durante l’anno passato, la rete diplomatica della Santa Sede si è ulteriormente consolidata in Africa, una presenza stabile è ormai assicurata in tre Paesi dove il Nunzio non è residente. A Dio piacendo, mi recherò ancora in quel continente, in Benin, nel novembre prossimo, per consegnare l’Esortazione Apostolica che raccoglierà i frutti dei lavori della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi.

Dinanzi a questo illustre uditorio, vorrei infine ribadire con forza che la religione non costituisce per la società un problema, non è un fattore di turbamento o di conflitto. Vorrei ripetere che la Chiesa non cerca privilegi, né vuole intervenire in ambiti estranei alla sua missione, ma semplicemente esercitare questa missione con libertà. Invito ciascuno a riconoscere la grande lezione della storia: “Come negare il contributo delle grandi religioni del mondo allo sviluppo della civiltà? La sincera ricerca di Dio ha portato ad un maggiore rispetto della dignità dell’uomo. Le comunità cristiane, con il loro patrimonio di valori e principi, hanno fortemente contribuito alla presa di coscienza delle persone e dei popoli circa la propria identità e dignità, nonché alla conquista di istituzioni democratiche e all’affermazione dei diritti dell’uomo e dei suoi corrispettivi doveri. Anche oggi i cristiani, in una società sempre più globalizzata, sono chiamati, non solo con un responsabile impegno civile, economico e politico, ma anche con la testimonianza della propria carità e fede, ad offrire un contributo prezioso al faticoso ed esaltante impegno per la giustizia, per lo sviluppo umano integrale e per il retto ordinamento delle realtà umane” (Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2011, 7).

Emblematica, a questo proposito, è la figura della Beata Madre Teresa di Calcutta: il centenario della sua nascita è stato celebrato a Tirana, a Skopje e a Pristina come in India; un vibrante omaggio le è stato reso non soltanto dalla Chiesa, ma anche da Autorità civili e capi religiosi, senza contare le persone di tutte le confessioni. Esempi come il suo mostrano al mondo quanto l’impegno che nasce dalla fede sia benefico per tutta la società.

Che nessuna società umana si privi volontariamente dell’apporto fondamentale che costituiscono le persone e le comunità religiose! Come ricordava il Concilio Vaticano ii, assicurando pienamente e a tutti la giusta libertà religiosa, la società potrà “godere dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e la sua santa volontà” (Dich. Dignitatis humanae, 6).

Ecco perché, mentre formulo voti affinché questo nuovo anno sia ricco di concordia e di reale progresso, esorto tutti, responsabili politici, capi religiosi e persone di ogni categoria, ad intraprendere con determinazione la via verso una pace autentica e duratura, che passa attraverso il rispetto del diritto alla libertà religiosa in tutta la sua estensione.

Su questo impegno, per la cui attuazione è necessario lo sforzo dell’intera famiglia umana, invoco la Benedizione di Dio Onnipotente, che ha operato la nostra riconciliazione con Lui e tra di noi, per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo, nostra pace (cfr. Ef 2, 14).

Buon anno a tutti!

(©L’Osservatore Romano – 10-11 gennaio 2011)

Udienza al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede

7 gennaio 2008

CITTA’ DEL VATICANO, lunedì, 7 gennaio 2008. Alle ore 11 di questa mattina, nella Sala Regia del Palazzo Apostolico Vaticano, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i Membri del Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, per la presentazione degli auguri per il nuovo anno.

Dopo l’indirizzo augurale formulato dal Decano del Corpo Diplomatico. S.E. il Prof. Giovanni Galassi, Ambasciatore della Repubblica di San Marino presso la Santa Sede, il Papa pronuncia il discorso che riportiamo di seguito

Benedetto XVI con il Corpo diplomatico

Benedetto XVI fotografato con l’intero Corpo diplomatico

Discorso annuale del Santo Padre al Corpo diplomatico

Eccellenze,

Signore e Signori!

1. Saluto cordialmente il vostro decano, l’Ambasciatore Giovanni Galassi, e lo ringrazio per le amabili parole che mi ha rivolto a nome del Corpo diplomatico accreditato. A ciascuno di voi va un saluto deferente, in particolare a coloro che partecipano per la prima volta a questo incontro. Attraverso di voi, esprimo i miei fervidi voti ai popoli e ai governi da voi rappresentati con dignità e competenza. Un lutto ha colpito la vostra comunità alcune settimane fa: l’Ambasciatore di Francia, il Signor Bernard Kessedjian, ha terminato il suo pellegrinaggio terreno; che il Signore lo accolga nella sua pace! Parimenti oggi un pensiero speciale va alle nazioni che ancora non intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede: anch’esse hanno un posto nel cuore del Papa. La Chiesa è profondamente convinta che l’umanità costituisca una famiglia, come ho voluto sottolineare nel Messaggio per la celebrazione della Giornata mondiale della Pace di quest’anno.

2. In uno spirito di famiglia, sono state allacciate le relazioni diplomatiche con gli Emirati Arabi Uniti e che si sono compiute visite a Paesi che mi sono molto cari. L’accoglienza calorosa dei Brasiliani vibra ancora nel mio cuore! In questo Paese, ho avuto la gioia di incontrare i rappresentanti della grande famiglia della Chiesa nell’America Latina e dei Caraibi, riuniti ad Aparecida per la Quinta Conferenza generale del CELAM. Nell’ambito economico e sociale, ho potuto raccogliere dei segni eloquenti di speranza per quel Continente, ma al tempo stesso motivi di preoccupazione. Come non augurarsi un’accresciuta cooperazione fra i popoli dell’America Latina e, in ciascuno dei Paesi che la compongono, l’abbandono delle tensioni interne, affinché possano convergere sui grandi valori ispirati dal Vangelo? Desidero ricordare Cuba, che si appresta a celebrare il decimo anniversario della visita del mio venerato Predecessore. Il Papa Giovanni Paolo II fu ricevuto con affetto dalle Autorità e dalla popolazione ed egli incoraggiò tutti i Cubani a collaborare per un avvenire migliore. Mi sia permesso di riprendere questo messaggio di speranza, che nulla ha perduto della sua attualità.

3. Il mio pensiero e la mia preghiera si sono rivolti soprattutto verso le popolazioni colpite da spaventose catastrofi naturali. Penso agli uragani e alle inondazioni che hanno devastato certe regioni del Messico e dell’America Centrale, come pure dei Paesi dell’Africa e dell’Asia, in particolare il Bangladesh, e una parte dell’Oceania; occorre ricordare inoltre i grandi incendi. Il Cardinale Segretario di Stato, che si è recato in Perù alla fine agosto, mi ha dato una testimonianza diretta delle distruzioni e delle desolazioni provocate dal terribili terremoto, ma anche del coraggio e della fede delle popolazioni colpite. Di fronte ad avvenimenti tragici di questo genere, occorre un impegno comune e forte. Come ho scritto nell’Enciclica sulla speranza, “la misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e col sofferente. Questo vale per il singolo come per la società” (Spe salvi, n. 38).

4. La preoccupazione della comunità internazionale continua ad essere viva per il Medio Oriente. Sono lieto che la Conferenza di Annapolis abbia manifestato segni sulla via dell’abbandono del ricorso a soluzioni parziali o unilaterali a favore di un approccio globale, rispettoso dei diritti e degli interessi dei popoli della regione. Faccio appello, ancora una volta, ad Israeliani e Palestinesi, affinché concentrino le proprie energie per l’applicazione degli impegni presi in quella occasione e non fermino il processo felicemente rimesso in moto. Invito inoltre la comunità internazionale a sostenere questi due popoli con convinzione e comprensione per le sofferenze e i timori di entrambi. Come non essere vicini al Libano, nelle prove e violenze che continuano a scuotere questo caro Paese? Formulo voti che i Libanesi possano decidere liberamente del loro futuro e chiedo al Signore di illuminarli, a cominciare dai responsabili della vita pubblica affinché, mettendo da parte gli interessi particolari, siano pronti ad impegnarsi sul cammino del dialogo e della riconciliazione. Solo in questa maniera il Paese potrà progredire nella stabilità ed essere nuovamente un esempio di convivialità fra le comunità. Anche in Iraq la riconciliazione è una urgenza! Attualmente gli attentati terroristici, le minacce e le violenze continuano, in particolare contro la comunità cristiana, e le notizie giunte ieri confermano la nostra preoccupazione; è evidente che resta da tagliare il nodo di alcune questioni politiche. In tale quadro, una riforma costituzionale appropriata dovrà salvaguardare il diritti delle minoranze. Sono necessari importanti aiuti umanitari per le popolazioni toccate dalla guerra; penso particolarmente agli sfollati all’interno del Paese e ai rifugiati all’estero, fra i quali si trovano numerosi cristiani. Invito la comunità internazionale a mostrarsi generosa verso di loro e verso i Paesi dove trovano rifugio, le capacità di accoglienza dei quali sono messi a dura prova. Desidero anche esprimere il mio incoraggiamento affinché si continui a perseguire senza sosta la via della diplomazia per risolvere la questione del programma nucleare iraniano, negoziando in buona fede, adottando misure destinate ad aumentare la trasparenza e la confidenza reciproca, e tenendo sempre conto degli autentici bisogni dei popoli e del bene comune della famiglia umana.

5. Allargando il nostro sguardo all’intero continente asiatico, vorrei attirare la vostra attenzione sua qualche altra situazione di crisi. Sul Pakistan, in primo luogo, che è stato duramente colpito dalla violenza negli ultimi mesi. Mi auguro che tutte le forze politiche e sociali si impegnino nella costruzione di una società pacifica, che rispetti i diritti di tutti. In Afghanistan alla violenza si aggiungono altri gravi problemi sociali, come la produzione di droga; è necessario offrire ancor più sostegni agli sforzi di sviluppo e si dovrebbe operare ancor più intensamente per edificare un avvenire sereno. Nello Sri Lanka non è più possibile rinviare a un dopo degli sforzi decisivi per dar rimedio alle immense sofferenze causate dal conflitto in corso. E io chiedo al Signore che in Myanmar, con il sostegno della comunità internazionale, si apra una stagione di dialogo fra il governo e l’opposizione, che assicuri un vero rispetto di tutti i diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

6. Rivolgendomi ora all’Africa, vorrei in primo luogo manifestare nuovamente la mia profonda sofferenza nel constatare come la speranza appaia quasi vinta dal sinistro corteo di fame e di morte che continua nel Darfur. Auspico di vero cuore che l’operazione congiunta delle Nazioni Unite e dell’Unione Africana, la cui missione è appena iniziata, porti aiuto e conforto alle popolazioni provate. Il processo di pace nella Repubblica Democratica del Congo si scontra con forti resistenze presso i Grandi Laghi, soprattutto nelle regioni orientali, e la Somalia, in particolare a Mogadiscio, continua ad essere afflitta da violenze e dalla povertà. Faccio appello alle parti in conflitto perché cessino le operazioni militari, che sia facilitato il passaggio degli aiuti umanitari e che i civili siano rispettati. Il Kenya in questi ultimi giorni ha conosciuto una brusca esplosione di violenza. Associandomi all’appello lanciato dai Vescovi il 2 gennaio, invito tutti gli abitanti, e in particolare i responsabili politici, a ricercare mediante il dialogo una soluzione pacifica, fondata sulla giustizia e sulla fraternità. La Chiesa cattolica non è indifferente ai gemiti di dolore che si innalzano da queste regioni. Ella fa proprie le richieste di aiuto dei rifugiati e degli sfollati, e si impegna per favorire la riconciliazione, la giustizia e la pace. Quest’anno l’Etiopia festeggia l’entrata nel terzo millennio cristiano e sono sicuro che le celebrazioni organizzate per questo evento contribuiranno anche a ricordare l’opera immensa, sociale ed apostolica, adempiuta dai cristiani in Africa.

7. Terminando con l’Europa, mi compiaccio per i progressi compiuti nei diversi Paesi della regione dei Balcani ed esprimo ancora una volta l’augurio che lo statuto definitivo del Kosovo prenda in considerazione le legittime rivendicazioni delle parti in causa e garantisca sicurezza e rispetto dei loro diritti a quanti abitano questa terra, perché si allontani definitivamente lo spettro del confronto violento e sia rafforzata la stabilità europea. Vorrei citare ugualmente Cipro, nel ricordo gioioso della visita di Sua Beatitudine l’Arcivescovo Crisostomo II, nello scorso mese di giugno. Esprimo l’augurio che, nel contesto dell’Unione Europea, non si risparmi alcuno sforzo per trovare soluzione ad una crisi che dura da troppo tempo. Lo scorso mese di settembre ho compiuto una visita in Austria, che ha voluto sottolineare anche il contributo essenziale che la Chiesa cattolica può e vuole dare all’unificazione dell’Europa. E a proposito di Europa, vorrei assicurarvi che seguo con attenzione il periodo che si apre con la firma del “Trattato di Lisbona”. Tale tappa rilancia il processo di costruzione della “casa Europa”, che “sarà per tutti gradevolmente abitabile solo se verrà costruita su un solido fondamento culturale e morale di valori comuni che traiamo dalla nostra storia e dalle nostre tradizioni” (Incontro con le Autorità e il Corpo Diplomatico, Vienna, 7 settembre 2007) e se essa non rinnegherà le proprie radici cristiane.

8. Da questo rapido giro d’orizzonte appare chiaramente che la sicurezza e la stabilità del mondo permangono fragili. I fattori di preoccupazione sono diversi, testimoniano tutti che la libertà umana non è assoluta, bensì che si tratta di un bene condiviso e la cui responsabilità incombe su tutti. Di conseguenza, l’ordine e il diritto ne sono elementi di garanzia. Ma il diritto può essere una forza di pace efficace solo se i suoi fondamenti sono solidamente ancorati nel diritto naturale, dato dal Creatore. È anche per tale ragione che non si può mai escludere Dio dall’orizzonte dell’uomo e della storia. Il nome di Dio è un nome di giustizia; esso rappresenta un appello pressante alla pace.

9. Questa presa di coscienza potrebbe aiutare, fra l’altro, a orientare le iniziative di dialogo interculturale e interreligioso. Tali iniziative sono sempre più numerose e possono stimolare la collaborazione su temi di interesse reciproco, come la dignità della persona umana, la ricerca del bene comune, la costruzione della pace e lo sviluppo. A tale proposito, la Santa Sede ha voluto dare un rilievo particolare alla propria partecipazione al dialogo ad alto livello sulla comprensione fra le religioni e le culture e la cooperazione per la pace, nel quadro della 62ª Assemblea Generale delle Nazioni Unite (4-5 ottobre 2007). Per esser vero, questo dialogo deve essere chiaro, evitando relativismi e sincretismi, ma animato da un sincero rispetto per gli altri e da uno spirito di riconciliazione e di fraternità. La Chiesa cattolica vi è profondamente impegnata e mi piace evocare nuovamente la lettera indirizzatami, lo scorso 13 ottobre, da 138 personalità musulmane e rinnovare la mia gratitudine per i nobili sentimenti che vi sono espressi.

10. Giustamente la nostra società ha incastonato la grandezza e la dignità della persona umana in diverse dichiarazioni dei diritti, formulate a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, adottata giusto sessant’anni fa. Questo atto solenne è stato, secondo l’espressione di Papa Paolo VI, uno dei più grandi titoli di gloria delle Nazioni Unite. In tutti i continenti la Chiesa cattolica si impegna affinché i diritti dell’uomo siano non solamente proclamati, ma applicati. Bisogna augurarsi che gli organismi, creati per la difesa e la promozione dei diritti dell’uomo, consacrino tutte le proprie energie a tale scopo e, in particolare, che il Consiglio dei Diritti dell’Uomo sappia rispondere alle attese suscitate per la sua creazione.

11. La Santa Sede, per parte sua, non si stancherà di riaffermare tali principi e tali diritti fondati su ciò che è permanente ed essenziale alla persona umana. È un servizio che la Chiesa desidera rendere alla vera dignità dell’uomo, creato ad immagine di Dio. E partendo precisamente da queste considerazioni non posso non deplorare ancora una volta gli attacchi continui perpetrati in tutti i Continenti contro la vita umana. Vorrei richiamare, insieme con tanti ricercatori e scienziati, che le nuove frontiere della bioetica non impongono una scelta fra la scienza e la morale, ma che esigono piuttosto un uso morale della scienza. D’altra parte, ricordando l’appello del Papa Giovanni Paolo II in occasione del Grande Giubileo dell’Anno 2000, mi rallegro che lo scorso 18 dicembre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite abbia adottato una risoluzione chiamando gli Stati ad istituire una moratoria sull’applicazione della pena di morte ed io faccio voti che tale iniziativa stimoli il dibattito pubblico sul carattere sacro della vita umana. Mi rammarico ancora una volta per i preoccupanti attacchi all’integrità della famiglia, fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna. I responsabili della politica di qualsiasi parte essi siano dovrebbero difendere questa istituzione, cellula base della società. Che dire di più! Anche la libertà religiosa, esigenza inalienabile della dignità di ogni uomo e pietra angolare nell’edificio dei diritti umani” (Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 1988, preambolo), è spesso compromessa. Effettivamente, vi sono molti luoghi nei quali essa non può esercitarsi pienamente. La Santa Sede la difende e ne domanda il rispetto per tutti. Essa è preoccupata per le discriminazioni contro i cristiani e contro i seguaci di altre religioni.

12. La pace non può essere una semplice parola o un’aspirazione illusoria. La pace è un impegno e un modo di vita che esige che si soddisfino le legittime attese di tutti, come l’accesso al cibo, all’acqua e all’energia, alla medicina e alla tecnologia, come pure il controllo dei cambiamenti climatici. Solo così si può costruire l’avvenire dell’umanità; soltanto così si favorisce lo sviluppo integrale per oggi e per domani. Forgiando un’espressione particolarmente felice, il Papa Paolo VI sottolineava 40 anni fa, nell’enciclica Populorum progressio, che “lo sviluppo è il nuovo nome della pace”. Per tale ragione, per consolidare la pace occorre che i risultati macroeconomici positivi, ottenuti da numerosi Paesi in via di sviluppo nel 2007, siano sostenuti da politiche sociali efficaci, e con la posa in opera di impegni di assistenza da parte dei Paesi ricchi.

13. Infine, vorrei esortare la Comunità internazionale ad un impegno globale a favore della sicurezza. Uno sforzo congiunto da parte degli Stati per applicare tutti gli obblighi sottoscritti e per impedire l’accesso dei terroristi alle armi di distruzione di massa rinforzerebbe, senza alcun dubbio, il regime di non proliferazione nucleare e lo renderebbe più efficace. Saluto l’accordo concluso per lo smantellamento del programma di armamento nucleare in Corea del Nord ed incoraggio l’adozione di misure appropriate per la riduzione degli armamenti di tipo classico, e per affrontare il problema umanitario posto dalle munizioni a grappolo.

Signore e Signori Ambasciatori!

14. La diplomazia e, in un certo modo, l’arte della speranza. Essa vive della speranza e cerca di discernerne persino i segni più tenui. La diplomazia deve dare speranza. La celebrazione del Natale viene ogni anno a ricordarci che, quando Dio si è fatto piccolo bambino, la Speranza è venuta ad abitare nel mondo, al cuore della famiglia umana. Questa certezza diventa oggi preghiera: che Dio apra il cuore di quanti governano la famiglia dei popoli alla Speranza che mai delude! Animato da tali sentimenti, rivolgo a ciascuno di voi i miei migliori auguri, affinché anche voi, i vostri collaboratori e i popoli da voi rappresentati siano illuminati dalla Grazia e dalla Pace che ci vengono dal Bambino di Betlemme.

[Traduzione dell’originale in francese distribuita dalla Santa Sede]

© Copyright 2008 – Libreria Editrice Vaticana

Annual address to members of the diplomatic corps accredited to the Holy See

Your Excellencies,

Ladies and Gentlemen,

1. I extend cordial greetings to your Dean, Ambassador Giovanni Galassi, and I thank him for the kind words that he has addressed to me in the name of the Diplomatic Corps accredited to the Holy See. To each of you I offer respectful greetings, particularly to those who are present at this meeting for the first time. Through you, I express my fervent prayers for the peoples and governments that you represent with such dignity and competence. Your community suffered a bereavement some weeks ago: the Ambassador of France, Monsieur Bernard Kessedjian, ended his earthly pilgrimage; may the Lord welcome him into his peace! My thoughts today go especially to the nations that have yet to establish diplomatic relations with the Holy See: they too have a place in the Pope’s heart. The Church is profoundly convinced that humanity is a family, as I wanted to emphasize in this year’s World Day of Peace Message.

2. It was in a family spirit that diplomatic relations were established last year with the United Arab Emirates. In the same spirit, I was also able to visit certain countries that I hold dear. The enthusiastic welcome that I received from the Brazilians continues to warm my heart! In that country, I had the joy of meeting the representatives of the great family of the Church in Latin America and the Caribbean, gathered at Aparecida for the Fifth General Conference of CELAM. In the economic and social sphere, I was able to note eloquent signs of hope for that continent, as well as certain reasons for concern. We all look forward to seeing increasing cooperation among the peoples of Latin America, and, within each of the countries that make up that continent, the resolution of internal conflicts, leading to a consensus on the great values inspired by the Gospel. I wish to mention Cuba, which is preparing to celebrate the tenth anniversary of the visit of my venerable Predecessor. Pope John Paul II was received with affection by the authorities and by the people, and he encouraged all Cubans to work together for a better future. I should like to reiterate this message of hope, which has lost none of its relevance.

3. My thoughts and prayers are directed especially towards the peoples affected by appalling natural disasters. I am thinking of the hurricanes and floods which have devastated certain regions of Mexico and Central America, as well as countries in Africa and Asia, especially Bangladesh, and parts of Oceania; mention must also be made of the great fires. The Cardinal Secretary of State, who went to Peru at the end of August, brought me a first-hand account of the destruction and havoc caused by the terrible earthquake, but he spoke also of the courage and faith of the peoples affected. In the face of tragic events of this kind, a strong joint effort is needed. As I wrote in my Encyclical on hope, “the true measure of humanity is essentially determined in relationship to suffering and to the sufferer. This holds true both for the individual and for society” (Encyclical Letter Spe Salvi, 38).

4. The international community continues to be deeply concerned about the Middle East. I am glad that the Annapolis Conference pointed towards the abandonment of partisan or unilateral solutions, in favour of a global approach respectful of the rights and legitimate interests of all the peoples of the region. I appeal once more to the Israelis and the Palestinians to concentrate their energies on the implementation of commitments made on that occasion, and to expedite the process that has happily been restarted. Moreover, I invite the international community to give strong support to these two peoples and to understand their respective sufferings and fears. Who can remain unmoved by the plight of Lebanon, amid its trials and all the violence that continues to shake that beloved country? It is my earnest wish that the Lebanese people will be able to decide freely on their future and I ask the Lord to enlighten them, beginning with the leaders of public life, so that, putting aside particular interests, they will be ready to pledge themselves to the path of dialogue and reconciliation. Only in this way will the country be able to progress in stability and to become once more an example of the peaceful coexistence of different communities. In Iraq too, reconciliation is urgently needed! At present, terrorist attacks, threats and violence continue, especially against the Christian community, and the news which arrived yesterday confirms our concern; it is clear that certain difficult political issues remain unresolved. In this context, an appropriate constitutional reform will need to safeguard the rights of minorities. Important humanitarian aid is necessary for the peoples affected by the war; I am thinking especially of displaced persons within the country and refugees who have fled abroad, among whom there are many Christians. I invite the international community to be generous towards them and towards their host countries, whose capacities to absorb them have been sorely tested. I should also like to express my support for continued and uninterrupted pursuit of the path of diplomacy in order to resolve the issue of Iran’s nuclear programme, by negotiating in good faith, adopting measures designed to increase transparency and mutual trust, and always taking account of the authentic needs of peoples and the common good of the human family.

5. Turning our gaze now towards the whole of Asia, I should like to draw your attention to some other crisis situations, first of all to Pakistan, which has suffered from serious violence in recent months. I hope that all political and social forces will commit themselves to building a peaceful society, respectful of the rights of all. In Afghanistan, in addition to violence, there are other serious social problems, such as the production of drugs; greater support should be given to efforts for development, and even more intensive work is required in order to build a serene future. In Sri Lanka it is no longer possible to postpone further the decisive efforts needed to remedy the immense sufferings caused by the continuing conflict. And I ask the Lord to grant that in Myanmar, with the support of the international community, a season of dialogue between the Government and the opposition will begin, ensuring true respect for all human rights and fundamental freedoms.

6. Turning now to Africa, I should like first of all to reiterate my deep anguish, on observing that hope seems almost vanquished by the menacing sequence of hunger and death that is unfolding in Darfur. With all my heart I pray that the joint operation of the United Nations and the African Union, whose mission has just begun, will bring aid and comfort to the suffering populations. The peace process in the Democratic Republic of Congo is encountering strong resistance in the vicinity of the Great Lakes, especially in the Eastern regions, while Somalia, particularly Mogadishu, continues to be afflicted by violence and poverty. I appeal to the parties in conflict to cease their military operations, to facilitate the movement of humanitarian aid and to respect civilians. In recent days Kenya has experienced an abrupt outbreak of violence. I join the Bishops in their appeal made on 2 January, inviting all the inhabitants, especially political leaders, to seek a peaceful solution through dialogue, based on justice and fraternity. The Catholic Church is not indifferent to the cries of pain that rise up from these regions. She makes her own the pleas for help made by refugees and displaced persons, and she pledges herself to foster reconciliation, justice and peace. This year, Ethiopia is marking the start of the third Christian millennium, and I am sure that the celebrations organized for this occasion will also help to recall the immense social and apostolic work carried out by Christians in Africa.

7. And finally, focussing upon Europe, I rejoice at the progress that has been made in various countries of the Balkan region, and I express once again the hope that the definitive status of Kosovo will take account of the legitimate claims of the parties involved and will guarantee security and respect for the rights of all the inhabitants of this land, so that the spectre of violence will be definitively removed and European stability strengthened. I should like also to mention Cyprus, recalling with joy the visit of His Beatitude Archbishop Chrysostomos II last June. It is my earnest wish that, in the context of the European Union, no effort will be spared in the search for a solution to a crisis that has already lasted too long. Last September, I made a visit to Austria, partly in order to underline the essential contribution that the Catholic Church is able and willing to give to European unification. On the subject of Europe, I would like to assure you that I am following attentively the new phase which began with the signing of the Treaty of Lisbon. This step gives a boost to the process of building the “European home”, which “will be a good place to live for everyone only if it is built on a solid cultural and moral foundation of common values drawn from our history and our traditions” (Meeting with the Authorities and the Diplomatic Corps, Vienna, 7 September 2007) and if it does not deny its Christian roots.

8. From this rapid overview it appears clearly that the security and stability of the world are still fragile. The factors of concern are varied, yet they all bear witness to the fact that human freedom is not absolute, but is a good that is shared, one for which all must assume responsibility. It follows that law and order are guarantees of freedom. Yet law can be an effective force for peace only if its foundations remain solidly anchored in natural law, given by the Creator. This is another reason why God can never be excluded from the horizon of man or of history. God’s name is a name of justice, it represents an urgent appeal for peace.

9. This realization could help, among other things, to give direction to initiatives for intercultural and inter-religious dialogue. These ever increasing initiatives can foster cooperation on matters of mutual interest, such as the dignity of the human person, the search for the common good, peace-building and development. In this regard, the Holy See attaches particular importance to its participation in high-level dialogue on understanding among religions and cultures and cooperation for peace, within the framework of the 62nd General Assembly of the United Nations (4-5 October 2007). In order to be true, this dialogue must be clear, avoiding relativism and syncretism, while at the same time it must be marked by sincere respect for others and by a spirit of reconciliation and fraternity. The Catholic Church is deeply committed to this goal. It is a pleasure for me to recall once again the letter that was addressed to me, on 13 October last, by 138 Muslim Religious Leaders, and to renew my gratitude for the noble sentiments which were expressed in it.

10. Our society has rightly enshrined the greatness and dignity of the human person in various declarations of rights, formulated in the wake of the Universal Declaration of Human Rights, which was adopted exactly sixty years ago. That solemn act, in the words of Pope Paul VI, was one of the greatest achievements of the United Nations. In every continent the Catholic Church strives to ensure that human rights are not only proclaimed but put into practice. It is to be hoped that agencies created for the defence and promotion of human rights will devote all their energies to this task and, in particular, that the Human Rights Council will be able to meet the expectations generated by its creation.

11. The Holy See for its part never tires of reaffirming these principles and rights, founded on what is essential and permanent in the human person. The Church willingly undertakes this service to the true dignity of human persons, created in the image of God. And on the basis of these considerations, I cannot but deplore once again the continual attacks perpetrated on every continent against human life. I would like to recall, together with many men and women dedicated to research and science, that the new frontiers reached in bioethics do not require us to choose between science and morality: rather, they oblige us to a moral use of science. On the other hand, recalling the appeal made by Pope John Paul II on the occasion of the Jubilee Year 2000, I rejoice that on 18 December last the General Assembly of the United Nations adopted a resolution calling upon States to institute a moratorium on the use of the death penalty, and I earnestly hope that this initiative will lead to public debate on the sacred character of human life. I regret, once again, the disturbing threats to the integrity of the family, founded on the marriage of a man and a woman. Political leaders, of whatever kind, should defend this fundamental institution, the basic cell of society. What more should be said? Even religious freedom, “an essential requirement of the dignity of every person [and] a cornerstone of the structure of human rights” (Message for the 1988 World Day of Peace, Preamble) is often undermined. There are many places where this right cannot be fully exercised. The Holy See defends it, demands that it be universally respected, and views with concern discrimination against Christians and against the followers of other religions.

12. Peace cannot be a mere word or a vain aspiration. Peace is a commitment and a manner of life which demands that the legitimate aspirations of all should be satisfied, such as access to food, water and energy, to medicine and technology, or indeed the monitoring of climate change. Only in this way can we build the future of humanity; only in this way can we facilitate an integral development valid for today and tomorrow. With a particularly felicitous expression, Pope Paul VI stressed forty years ago in his Encyclical Letter Populorum Progressio, that “development is the new name for peace”. Hence, in order to consolidate peace, the positive macroeconomic results achieved by many developing countries during 2007 must be supported by effective social policies and by the implementation of aid commitments by rich countries.

13. Finally, I wish to urge the international community to make a global commitment on security. A joint effort on the part of States to implement all the obligations undertaken and to prevent terrorists from gaining access to weapons of mass destruction would undoubtedly strengthen the nuclear non-proliferation regime and make it more effective. I welcome the agreement reached on the dismantling of North Korea’s nuclear weapons programme, and I encourage the adoption of suitable measures for the reduction of conventional weapons and for dealing with the humanitarian problems caused by cluster munitions.

Your Excellencies, Ladies and Gentlemen,

14. Diplomacy is, in a certain sense, the art of hope. It lives from hope and seeks to discern even its most tenuous signs. Diplomacy must give hope. The celebration of Christmas reminds us each year that, when God became a little child, Hope came to live in our world, in the heart of the human family. Today this certainty becomes a prayer: May God open the hearts of those who govern the family of peoples to the Hope that never disappoints! With these sentiments, I offer to each one of you my very best wishes, so that you, your staff, and the peoples you represent may be enlightened by the Grace and Peace which come to us from the Child of Bethlehem.

[Translation from the original French distributed by the Holy See]

© Copyright 2008 – Libreria Editrice Vatican

Discours annuel au Corps diplomatique accrédité près le Saint-Siège

Excellences,

Mesdames et Messieurs,

1. Je salue cordialement votre doyen, l’Ambassadeur Giovanni Galassi, et je le remercie pour les aimables paroles qu’il m’a adressées au nom du Corps diplomatique accrédité. A chacun de vous va un salut déférent, en particulier à ceux qui participent pour la première fois à cette rencontre. A travers vous, j’exprime mes vœux fervents aux peuples et aux gouvernements que vous représentez avec dignité et compétence. Un deuil a frappé votre communauté, il y a quelques semaines : l’Ambassadeur de France, Monsieur Bernard Kessedjian, a terminé son pèlerinage terrestre ; que le Seigneur l’accueille dans sa paix ! J’ai également aujourd’hui une pensée spéciale pour les nations qui n’entretiennent pas encore de relations diplomatiques avec le Saint-Siège : elles ont aussi une place dans le cœur du Pape. L’Eglise est profondément convaincue que l’humanité constitue une famille, comme j’ai voulu le souligner dans le Message pour la célébration de la Journée mondiale de la Paix de cette année.

2. Dans un esprit de famille, ont été établies les relations diplomatiques avec les Emirats arabes unis et se sont déroulées les visites à des pays qui me sont très chers. L’accueil chaleureux des Brésiliens est encore vibrant dans mon cœur ! Dans ce pays, j’ai eu la joie de rencontrer les représentants de la grande famille de l’Eglise en Amérique Latine et dans les Caraïbes, réunis à Aparecida pour la Cinquième Conférence générale du CELAM. Dans le domaine économique et social, j’ai pu recueillir des signes éloquents d’espérance pour ce continent, en même temps que des motifs de préoccupation. Comment ne pas souhaiter une coopération accrue entre les peuples de l’Amérique Latine et, dans chacun des pays qui la composent, l’abandon des tensions internes, afin qu’ils puissent converger sur les grandes valeurs inspirées par l’Evangile ? Je désire mentionner Cuba, qui s’apprête à célébrer le dixième anniversaire de la visite de mon vénéré Prédécesseur. Le Pape Jean-Paul II fut reçu avec affection par les Autorités et par la population, et il encouragea tous les Cubains à collaborer pour un avenir meilleur. Qu’il me soit permis de reprendre ce message d’espérance, qui n’a rien perdu de son actualité.

3. Ma pensée et ma prière se sont dirigées surtout vers les populations frappées par d’épouvantables catastrophes naturelles. Je pense aux ouragans et aux inondations qui ont dévasté certaines régions du Mexique et de l’Amérique centrale, ainsi que des pays d’Afrique et d’Asie, en particulier le Bangladesh, et une partie de l’Océanie ; il faut mentionner aussi les grands incendies. Le Cardinal Secrétaire d’Etat, qui s’est rendu au Pérou fin août, m’a rapporté un témoignage direct des destructions et de la désolation provoquées par le terrible tremblement de terre, mais aussi du courage et de la foi des populations touchées. Face à des événements tragiques de ce genre, il faut un engagement commun et fort. Comme je l’ai écrit dans l’Encyclique sur l’espérance, « la mesure de l’humanité se détermine essentiellement dans son rapport à la souffrance et à celui qui souffre. Cela vaut pour chacun comme pour la société » (Encyclique Spe salvi, n. 38).

4. La préoccupation de la communauté internationale continue à être vive pour le Moyen-Orient. Je suis heureux que la Conférence d’Annapolis ait donné des signes dans la voie de l’abandon du recours à des solutions partielles ou unilatérales, au profit d’une approche globale, respectueuse des droits et des intérêts des peuples de la région. Je fais appel, une fois encore, aux Israéliens et aux Palestiniens, afin qu’ils concentrent leurs énergies sur la mise en application des engagements pris à cette occasion et qu’ils n’arrêtent pas le processus heureusement remis en route. J’invite en outre la communauté internationale à soutenir ces deux peuples avec conviction et avec compréhension pour les souffrances et les craintes de chacun d’eux. Comment ne pas être proche du Liban, dans les épreuves et les violences qui continuent à secouer ce cher pays ? Je souhaite que les Libanais puissent décider de leur avenir librement et je demande au Seigneur de les illuminer, à commencer par les responsables de la vie publique, afin que, mettant de côté les intérêts particuliers, ils soient prêts à s’engager sur le chemin du dialogue et de la réconciliation. C’est seulement ainsi que le pays pourra progresser dans la stabilité et être à nouveau un exemple de convivialité entre les communautés. En Iraq aussi, la réconciliation est une urgence ! Actuellement, les attentats terroristes, les menaces et les violences continuent, en particulier contre la communauté chrétienne, et les nouvelles qui sont parvenues hier confirment notre préoccupation ; il est évident que le nœud de certaines questions politiques reste à trancher. Dans ce cadre, une réforme constitutionnelle appropriée devra sauvegarder les droits des minorités. D’importantes aides humanitaires sont nécessaires pour les populations touchées par la guerre ; je pense en particulier aux déplacés à l’intérieur du pays et aux réfugiés à l’étranger, parmi lesquels se trouvent de nombreux chrétiens. J’invite la communauté internationale à se montrer généreuse envers eux et envers les pays où ils trouvent refuge, dont les capacités d’accueil sont mises à rude épreuve. Je désire aussi exprimer mon encouragement afin que l’on continue à poursuivre sans relâche la voie de la diplomatie pour résoudre la question du programme nucléaire iranien, en négociant de bonne foi, en adoptant des mesures destinées à augmenter la transparence et la confiance réciproques, et en tenant toujours compte des authentiques besoins des peuples et du bien commun de la famille humaine.

5. Élargissant notre regard à tout le continent asiatique, je voudrais attirer votre attention sur quelques autres situations de crise. Sur le Pakistan, en premier lieu, qui a été durement frappé par la violence durant les derniers mois. Je souhaite que toutes les forces politiques et sociales s’engagent dans la construction d’une société pacifique, qui respecte les droits de tous. En Afghanistan, à la violence s’ajoutent d’autres graves problèmes sociaux, comme la production de drogue; il est nécessaire d’offrir davantage de soutien aux efforts de développement et d’œuvrer encore plus intensément pour bâtir un avenir serein. Au Sri Lanka, il n’est plus possible de renvoyer à plus tard les efforts décisifs pour remédier aux immenses souffrances causées par le conflit en cours. Et je demande au Seigneur qu’au Myanmar, avec le soutien de la communauté internationale, s’ouvre une saison de dialogue entre le gouvernement et l’opposition, assurant un vrai respect de tous les droits de l’homme et des libertés fondamentales.

6. Me tournant maintenant vers l’Afrique, je voudrais en premier lieu redire ma profonde souffrance, en constatant combien l’espérance semble presque vaincue par le sinistre cortège de faim et de mort qui se poursuit au Darfour. Je souhaite de tout cœur que l’opération conjointe des Nations unies et de l’Union africaine, dont la mission vient juste de commencer, porte aide et réconfort aux populations éprouvées. Le processus de paix dans la République démocratique du Congo se heurte à de fortes résistances près des Grands Lacs, surtout dans les régions orientales, et la Somalie, en particulier Mogadiscio, continue à être affligée par les violences et la pauvreté. Je fais appel aux parties en conflit afin que cessent les opérations militaires, que soit facilité le passage de l’aide humanitaire et que les civils soient respectés. Le Kenya a connu ces jours derniers une brusque éruption de violence. M’associant à l’appel lancé par les Evêques le 2 janvier, j’invite tous les habitants, en particulier les responsables politiques, à rechercher par le dialogue une solution pacifique, fondée sur la justice et la fraternité. L’Eglise catholique n’est pas indifférente aux gémissements de douleur qui s’élèvent dans ces régions. Elle fait siennes les demandes d’aide des réfugiés et des déplacés et elle s’engage pour favoriser la réconciliation, la justice et la paix. Cette année, l’Ethiopie fête l’entrée dans le troisième millénaire chrétien, et je suis sûr que les célébrations organisées à cette occasion contribueront aussi à rappeler l’œuvre immense, sociale et apostolique, accomplie par les chrétiens en Afrique.

7. Terminant par l’Europe, je me réjouis des progrès accomplis dans différents pays de la région des Balkans et j’exprime encore une fois le souhait que le statut définitif du Kosovo prenne en compte les légitimes revendications des parties en présence et qu’il garantisse sécurité et respect de leurs droits à tous ceux qui habitent cette terre, afin que s’éloigne définitivement le spectre des confrontations violentes et que soit renforcée la stabilité européenne. Je voudrais citer également Chypre, me rappelant avec joie la visite de Sa Béatitude l’Archevêque Chrysostomos II, au mois de juin dernier. J’exprime le souhait que, dans le contexte de l’Union européenne, on n’épargne aucun effort pour trouver une solution à une crise qui dure depuis trop longtemps. J’ai accompli, au mois de septembre dernier, une visite en Autriche, qui a voulu aussi souligner la contribution essentielle que l’Eglise catholique peut et veut donner à l’unification de l’Europe. Et, à propos de l’Europe, je voudrais vous assurer que je suis attentivement la période qui s’ouvre avec la signature du « Traité de Lisbonne ». Cette étape relance le processus de construction de la « maison Europe », qui « sera pour tous un lieu agréable à habiter seulement si elle est construite sur une solide base culturelle et morale de valeurs communes que nous tirons de notre histoire et de nos traditions » (Rencontre avec les Autorités et le Corps diplomatique, Vienne, 7 septembre 2007) et si elle ne renie pas ses racines chrétiennes.

8. De ce rapide tour d’horizon, il apparaît clairement que la sécurité et la stabilité du monde demeurent fragiles. Les facteurs de préoccupation sont divers ; ils témoignent tous cependant que la liberté humaine n’est pas absolue, mais qu’il s’agit d’un bien partagé, dont la responsabilité incombe à tous. En conséquence, l’ordre et le droit en sont des éléments qui la garantissent. Mais le droit ne peut être une force de paix efficace que si ses fondements demeurent solidement ancrés dans le droit naturel, donné par le Créateur. C’est aussi pour cela que l’on ne peut jamais exclure Dieu de l’horizon de l’homme et de l’histoire. Le nom de Dieu est un nom de justice ; il représente un appel pressant à la paix.

9. Cette prise de conscience pourrait aider, entre autres, à orienter les initiatives de dialogue interculturel et inter-religieux. Ces initiatives sont toujours plus nombreuses et elles peuvent stimuler la collaboration sur des thèmes d’intérêt mutuel, comme la dignité de la personne humaine, la recherche du bien commun, la construction de la paix et le développement. A cet égard, le Saint-Siège a voulu donner un relief particulier à sa participation au dialogue de haut niveau sur la compréhension entre les religions et les cultures et la coopération pour la paix, dans le cadre de la soixante-deuxième Assemblée générale des Nations unies (4-5 octobre 2007). Pour être vrai, ce dialogue doit être clair, évitant relativisme et syncrétisme, mais animé d’un respect sincère pour les autres et d’un esprit de réconciliation et de fraternité. L’Eglise catholique y est profondément engagée et il m’est agréable d’évoquer à nouveau la lettre que m’ont adressée, le 13 octobre dernier, cent trente-huit personnalités musulmanes et de renouveler ma gratitude pour les nobles sentiments qui y sont exprimés.

10. Notre société a justement enchâssé la grandeur et la dignité de la personne humaine dans diverses déclarations des droits, qui ont été formulées à partir de la Déclaration universelle des droits de l’homme, adoptée il y a juste soixante ans. Cet acte solennel fut, selon l’expression du Pape Paul VI, l’un des plus grands titres de gloire des Nations unies. Dans tous les continents, l’Eglise catholique s’engage afin que les droits de l’homme soient non seulement proclamés, mais appliqués. Il faut souhaiter que les organismes créés pour la défense et la promotion des droits de l’homme consacrent toutes leurs énergies à cette tâche et, en particulier, que le Conseil des droits de l’homme sache répondre aux attentes suscitées par sa création.

11. Le Saint-Siège, pour sa part, ne se lassera pas de réaffirmer ces principes et ces droits fondés sur ce qui est permanent et essentiel à la personne humaine. C’est un service que l’Eglise désire rendre à la véritable dignité de l’homme, créé à l’image de Dieu. Et partant précisément de ces considérations, je ne peux pas ne pas déplorer une fois encore les attaques continuelles perpétrées, sur tous les continents, contre la vie humaine. Je voudrais rappeler, avec tant de chercheurs et de scientifiques, que les nouvelles frontières de la bioéthique n’imposent pas un choix entre la science et la morale, mais qu’elles exigent plutôt un usage moral de la science. D’autre part, rappelant l’appel du Pape Jean-Paul II à l’occasion du grand Jubilé de l’An 2000, je me réjouis que, le 18 décembre dernier, l’Assemblée générale des Nations unies ait adopté une résolution appelant les Etats à instituer un moratoire sur l’application de la peine de mort et je souhaite que cette initiative stimule le débat public sur le caractère sacré de la vie humaine. Je regrette une fois encore les atteintes préoccupantes à l’intégrité de la famille, fondée sur le mariage entre un homme et une femme. Les responsables de la politique, de quelque bord qu’ils soient, devraient défendre cette institution fondamentale, cellule de base de la société. Que dire encore ! Même la liberté religieuse, « exigence inaliénable de la dignité de tout homme et pierre angulaire dans l’édifice des droits humains » (Message pour la Célébration de la Journée mondiale de la Paix 1988, Préambule), est souvent compromise. Il y a en effet bien des endroits où elle ne peut s’exercer pleinement. Le Saint-Siège la défend et en demande le respect pour tous. Il est préoccupé par les discriminations contre les chrétiens et contre les fidèles d’autres religions.

12. La paix ne peut pas n’être qu’un simple mot ou une aspiration illusoire. La paix est un engagement et un mode de vie qui exigent que l’on satisfasse les attentes légitimes de tous comme l’accès à la nourriture, à l’eau et à l’énergie, à la médecine et à la technologie, ou bien le contrôle des changements climatiques. C’est seulement ainsi que l’on peut construire l’avenir de l’humanité ; c’est seulement ainsi que l’on favorise le développement intégral pour aujourd’hui et pour demain. Forgeant une expression particulièrement heureuse, le Pape Paul VI soulignait il y a quarante ans, dans l’Encyclique Populorum progressio, que « le développement est le nouveau nom de la paix ». C’est pourquoi, pour consolider la paix, il faut que les résultats macroéconomiques positifs obtenus par de nombreux pays en voie de développement en 2007 soient soutenus par des politiques sociales efficaces et par la mise en œuvre des engagements d’assistance des pays riches.

13. Enfin, je voudrais exhorter la communauté internationale à un engagement global en faveur de la sécurité. Un effort conjoint de la part des Etats pour appliquer toutes les obligations souscrites et pour empêcher l’accès des terroristes aux armes de destruction massive renforcerait sans aucun doute le régime de non-prolifération nucléaire et le rendrait plus efficace. Je salue l’accord conclu pour le démantèlement du programme d’armement nucléaire en Corée du Nord et j’encourage l’adoption de mesures appropriées pour la réduction des armements de type classique et pour affronter le problème humanitaire posé par les armes à sous-munitions.

Mesdames et Messieurs les Ambassadeurs,

14. La diplomatie est, d’une certaine façon, l’art de l’espérance. Elle vit de l’espérance et cherche à en discerner même les signes les plus ténus. La diplomatie doit donner de l’espérance. La célébration de Noël vient chaque année nous rappeler que, quand Dieu s’est fait petit enfant, l’Espérance est venue habiter dans le monde, dans le cœur de la famille humaine. Cette certitude devient aujourd’hui prière : que Dieu ouvre le cœur de ceux qui gouvernent la famille des peuples à l’Espérance qui ne déçoit jamais ! Animé par ces sentiments, j’adresse à chacun de vous mes vœux les meilleurs, afin que vous-même, vos collaborateurs et les peuples que vous représentez soient illuminés de la Grâce et de la Paix qui nous viennent de l’Enfant de Bethléem.

Texte original en français

© Copyright : Libreria Editrice Vaticana

Discurso anual a los miembros del Cuerpo Diplomático acreditado ante la Santa Sede

Excelencias.

Señoras y Señores.

1. Saludo cordialmente a vuestro decano, el Embajador Giovanni Galassi, y le agradezco las amables palabras que me ha dirigido en nombre del Cuerpo diplomático acreditado. Un saludo deferente va a cada uno de vosotros, y en particular a los que participan por primera vez en este encuentro. A través de vosotros, elevo mis fervientes votos a los pueblos y gobiernos que digna y competentemente representáis. Hace algunas semanas, vuestra comunidad se ha vestido de luto: el embajador de Francia, señor Bernard Kessedjian, culminó su peregrinación terrena; ¡que el Señor le conceda su paz! Al mismo tiempo, dirijo un pensamiento especial a las naciones que no tienen todavía relaciones diplomáticas con la Santa Sede: también ellas tienen un lugar en el corazón del Papa. Como he querido señalar en el Mensaje para la celebración de la Jornada Mundial de la Paz de este año, la Iglesia está profundamente convencida de que la humanidad constituye una familia.

2. Las relaciones diplomáticas con los Emiratos Árabes Unidos se han establecido inspiradas en un espíritu de familia, así como la visita a unos países muy queridos. La calurosa acogida de los Brasileños permanece todavía vibrante en mi corazón. En este país, tuve la alegría de encontrar a los representantes de la gran familia de la Iglesia en América Latina y en el Caribe, reunidos en Aparecida para la Quinta Conferencia General del CELAM. En el ámbito económico y social, pude apreciar tanto signos elocuentes de esperanza para este continente como motivos de preocupación. ¿Cómo no desear una cooperación creciente entre los pueblos de América Latina, así como el cese de tensiones internas en cada uno de los países que la componen, para que puedan converger en los grandes valores inspirados por el Evangelio? Deseo mencionar a Cuba, que se apresta a celebrar el décimo aniversario de la visita de mi venerado Predecesor. El Papa Juan Pablo II fue recibido con afecto por las Autoridades y por la población, animando a todos los cubanos a colaborar para conseguir un futuro mejor. Permítaseme retomar este mensaje de esperanza que no ha perdido nada de su actualidad.

3. Mi pensamiento y mi oración se dirigen sobre todo hacia las poblaciones golpeadas por espantosas catástrofes naturales. Me refiero a los huracanes e inundaciones que han devastado ciertas regiones de México y de América Central, así como algunos países de África y de Asia, en particular Bangladesh, y una parte de Oceanía; también habría que mencionar los grandes incendios. El Cardenal Secretario de Estado, que, a finales de agosto se acercó hasta el Perú, me ofreció un testimonio directo de la destrucción y la desolación provocada por el terrible terremoto, pero también del ánimo y de la fe de las poblaciones afectadas. Frente a los trágicos acontecimientos de este tipo, es necesario un compromiso común y decidido. Como he escrito en la Encíclica sobre la Esperanza «la grandeza de la humanidad está determinada esencialmente por su relación con el sufrimiento y con el que sufre. Esto es válido tanto para el individuo como para la sociedad» (Carta Enc. Spe salvi, n. 38).

4. La comunidad internacional mantiene viva su preocupación por el Medio Oriente. Me alegra que la Conferencia de Annapolis haya dado signos en la dirección de un abandono del recurso a soluciones parciales o unilaterales, en beneficio de una visión global, respetuosa de los derechos e intereses de los pueblos de la región. Una vez más, hago un llamamiento a los Israelíes y a los Palestinos, para que concentren sus esfuerzos en poner en práctica los compromisos asumidos en esta ocasión y no frenen el proceso felizmente iniciado. Invito además a la comunidad internacional a sostener a estos dos pueblos con convicción y comprensión hacia los sufrimientos y los miedos de cada uno de ellos. ¿Cómo no estar cerca del Líbano, en las pruebas y las violencias que siguen afligiendo este querido país?. Deseo que los libaneses puedan decidir libremente acerca de su futuro y pido al Señor que les ilumine, empezando por los responsables de la vida pública, para que, dejando de lado los intereses particulares, estén dispuestos a comprometerse por el camino del diálogo y de la reconciliación. Solamente así el país podrá progresar en la estabilidad y ser de nuevo un ejemplo de convivencia entre las comunidades. También en Iraq, la reconciliación es una urgencia. Actualmente, los atentados terroristas, las amenazas y la violencia continúan, en particular contra la comunidad cristiana, y las noticias que nos llegan de ayer confirman nuestra preocupación; es evidente que todavía quedan por resolver aspectos esenciales de ciertas cuestiones políticas. En este marco, una reforma constitucional apropiada deberá salvaguardar los derechos de las minorías. Se necesitan importantes ayudas humanitarias para las poblaciones afectadas por la guerra, y pienso en particular en los desplazados dentro del país y en los refugiados en el extranjero, entre los cuales se encuentran numerosos cristianos. Invito a la comunidad internacional a mostrarse generosa con ellos y con los países donde ellos encuentran refugio, cuya capacidad de acogida se ve sometida a dura prueba. Deseo también alentar a que se continúe sin descanso por la vía de la diplomacia para resolver la cuestión del programa nuclear iraniano, negociando con buena fe, adoptando medidas destinadas a aumentar la transparencia y la confianza recíprocas, y teniendo siempre en cuenta las auténticas necesidades de los pueblos y del bien común de la familia humana.

5 Ampliando nuestra mirada al continente asiático, quisiera llamar vuestra atención sobre otras situaciones críticas. En primer lugar, Pakistán, que en los últimos meses ha sido duramente golpeado por la violencia. Deseo que todas las fuerzas políticas y sociales se comprometan en la construcción de una sociedad pacífica que respete los derechos de todos. En Afganistán, junto a la violencia se añaden otros graves problemas sociales, como la producción de drogas; es necesario ofrecer más apoyo a los esfuerzos de desarrollo y trabajar con más intensidad todavía en la construcción de un futuro sereno. En Sri Lanka, no es posible aplazar para más tarde los esfuerzos decisivos para remediar los inmensos sufrimientos causados por los conflictos vigentes. Pido al Señor que en Myanmar, con el apoyo de la comunidad internacional, se abra una época de diálogo entre el gobierno y la oposición, asegurando el verdadero respeto de todos los derechos del hombre y de las libertades fundamentales.

6. Volviendo ahora a África, quisiera en primer lugar volver a expresar mi profundo pesar al comprobar cómo la esperanza parece casi derrotada por el siniestro cortejo de hambre y de muerte que perdura en el Darfour. Deseo de todo corazón que la operación conjunta de las Naciones Unidas y de la Unión Africana, cuya misión acaba de comenzar, lleve ayuda y consuelo a las poblaciones que sufren. El proceso de paz en la República Democrática del Congo tropieza con fuertes resistencias en la zona de los grandes lagos, sobre todo en las regiones orientales, y Somalia, en particular Mogadiscio, sigue estando afligida por la violencia y la pobreza. Hago un llamamiento a las partes en conflicto para que cesen las operaciones militares, se facilite el paso de la ayuda humanitaria y los civiles sean respetados. Kenia ha experimentado estos días una brusca erupción de violencia. Uniéndome a la exhortación de los Obispos del 2 de enero, invito a todos los habitantes, y en particular a los responsables políticos, a buscar a través del diálogo una solución pacífica, fundada sobre la justicia y la fraternidad. La Iglesia Católica no es indiferente a los gemidos de dolor que se elevan en esta región. Ella hace suyas las peticiones de ayuda de los refugiados y de los desplazados y se compromete para favorecer la reconciliación, la justicia y la paz. Este año, Etiopía inicia el tercer milenio cristiano, y estoy seguro de que las celebraciones organizadas con este motivo contribuirán también a recordar la inmensa obra, social y apostólica, realizada por los Cristianos en África.

7. Terminando por Europa, me alegro de los progresos alcanzados en los diferentes países de la región de los Balcanes y expreso una vez más el deseo que el estatuto definitivo de Kosovo tenga en cuenta las legítimas reivindicaciones de las partes implicadas y garantice, a todos los que habitan en esta tierra, seguridad y respeto a sus derechos para que definitivamente se aleje el fantasma de los enfrentamientos violentos y se refuerce la estabilidad europea. Quisiera citar igualmente a Chipre recordando con alegría la visita, el mes de junio pasado, de Su Beatitud el Arzobispo Chrysostomos II. Deseo que, en el contexto de la Unión Europea, no se escatime ningún esfuerzo para encontrar solución a una crisis que dura demasiado tiempo. En el mes de septiembre pasado, realicé una visita a Austria, que quiso también subrayar la contribución esencial que la Iglesia católica puede y quiere dar a la unificación de Europa. A propósito de Europa, quisiera aseguraros que sigo con atención el período que se ha abierto con la firma del «Tratado de Lisboa». Esta etapa impulsa el proceso de construcción de la «casa Europea», que «será para todos un buen lugar para vivir si se construye sobre un sólido fundamento cultural y moral de valores comunes tomados de nuestra historia y de nuestras tradiciones» (Encuentro con las Autoridades y el Cuerpo diplomático, Viena, 7 septiembre 2007) y si ella no reniega de sus raíces cristianas.

8. De este rápido repaso general, aparece con claridad la fragilidad de la seguridad y la estabilidad en el mundo. Los factores de preocupación son diferentes; sin embargo, todos testimonian que la libertad humana no es absoluta, sino que se trata de un bien compartido, cuya responsabilidad incumbe a todos. En consecuencia, el orden y el derecho son elementos que la garantizan. El derecho sólo podrá ser una fuerza eficaz de paz si sus fundamentos permanecen sólidamente anclados en el derecho natural, dado por el Creador. Es por eso también que no se puede nunca excluir a Dios del horizonte del hombre y de la historia. El nombre de Dios es un nombre de justicia, representa una llamada urgente a la paz.

9. Esta toma de conciencia podría ayudar, entre otras cosas, a orientar las iniciativas de diálogo intercultural e interreligioso. Estas iniciativas son cada vez más numerosas y pueden estimular la colaboración en temas de interés mutuo, como la dignidad de la persona humana, la búsqueda del bien común, la construcción de la paz y el desarrollo. A este respecto, la Santa Sede ha querido dar un relieve particular a su participación en el diálogo de alto nivel sobre el entendimiento entre las religiones y las culturas y la cooperación para la paz, en el marco de la 62ª Asamblea General de las Naciones Unidas (4-5 octubre 2007), Este diálogo, para ser auténtico, debe ser claro, evitando relativismos y sincretismos, pero animado de un respeto sincero por los otros y de un espíritu de reconciliación y de fraternidad. La Iglesia Católica está profundamente comprometida en ello y me es grato recordar de nuevo la carta que, el 13 de octubre pasado, me dirigieron ciento treinta y ocho personalidades musulmanas, renovando mi gratitud por los nobles sentimientos que allí se expresan.

10. Nuestra sociedad ha incluido justamente la grandeza y la dignidad de la persona humana en las diversas declaraciones de derechos, que han sido formuladas a partir de la Declaración Universal de los Derechos del Hombre, adoptada hace sesenta años. Este acto solemne fue, según la expresión del Papa Pablo VI, uno de los más grandes títulos de gloria de las Naciones Unidas. En todos los continentes, la Iglesia Católica, se compromete para que los derechos del hombre sean no solamente proclamados, sino aplicados. Es de desear que los organismos creados para la defensa y promoción de los derechos del hombre consagren todas sus energías a este cometido, y en particular, que el Consejo de los Derechos del Hombre sepa responder a las expectativas suscitadas tras su creación.

11. La Santa Sede, por su parte, no dejará de reafirmar estos principios y estos derechos fundados sobre lo que es esencial y permanente en la persona humana. Es un servicio que la Iglesia desea ofrecer a la verdadera dignidad del hombre, creado a imagen de Dios. Partiendo precisamente de estas consideraciones, no puedo dejar de deplorar, una vez más, los continuos ataques perpetrados, en todos los continentes, contra la vida humana. Quisiera recordar, junto a tantos investigadores y científicos, que las nuevas fronteras de la bioética no imponen una elección entre la ciencia y la moral, sino que más bien exigen un uso moral de la ciencia. Por otra parte, recordando el llamamiento hecho por el Papa Juan Pablo II con ocasión del gran Jubileo del Año 2000, me alegra que, el 18 de diciembre pasado, la Asamblea General de las Naciones Unidas adoptara una resolución por la que se llama a los Estados a instituir una moratoria en la aplicación de la pena de muerte, y deseo que esta iniciativa estimule el debate público sobre el carácter sagrado de la vida humana. Deploro, una vez más, los ataques preocupantes contra la integridad de la familia, fundada sobre el matrimonio entre un hombre y una mujer. Los responsables de la política, de la orientación que sean, deben defender esta institución fundamental, célula básica de la sociedad. ¡Qué más se puede decir! Hasta la libertad religiosa, «exigencia ineludible de la dignidad de cada hombre y piedra angular del edificio de los derechos humanos» (Mensaje para la Jornada Mundial de la Paz 1988, preámbulo), está frecuentemente amenazada. Existen, en efecto, lugares donde no se puede ejercer plenamente. La Santa Sede, la defiende y pide su respeto para todos. Ella esta preocupada por las discriminaciones contra los cristianos y contra los fieles de otras religiones.

12. La paz no puede ser sólo una simple palabra o una aspiración ilusoria. La paz es un compromiso y un modo de vida que exige que se satisfagan las expectativas legítimas de todos como el acceso a la alimentación, al agua y a la energía, a la medicina y a la tecnología, o bien el control de los cambios climáticos. Solamente así se puede construir el futuro de la humanidad; solamente así se favorece el desarrollo integral para hoy y para mañana. Hace cuarenta años, el Papa Pablo VI, acuñando una expresión particularmente feliz, señaló en la Encíclica Populorum progressio que «el desarrollo es el nuevo nombre de la paz». Por eso, para consolidar la paz, es necesario que los positivos resultados macroeconómicos, obtenidos en 2007 por numerosos países en vías de desarrollo, sean sostenidos por políticas sociales eficaces y por la puesta en práctica de compromisos de asistencia por parte de los países ricos.

13. Por último, quisiera exhortar a la comunidad internacional a un compromiso global por la seguridad. Un esfuerzo conjunto por parte de los Estados para aplicar todas las obligaciones contraídas, y para impedir el acceso de los terroristas a las armas de destrucción masiva, reforzaría, sin ninguna duda, el régimen de no proliferación nuclear y lo haría más eficaz. Celebro el acuerdo alcanzado para el desmantelamiento del programa de armamento nuclear en Corea del Norte y animo a la adopción de medidas apropiadas para la reducción de armas de tipo convencional y para afrontar el problema humanitario planteado por las bombas de racimo.

Señoras y señores Embajadores.

14. La diplomacia es, en cierta manera, el arte de la esperanza. Ella vive de la esperanza e intenta discernir incluso sus signos más tenues. La diplomacia debe dar esperanza. Cada año, la celebración de la Navidad nos recuerda que, cuando Dios se hizo niño pequeño, la Esperanza vino a habitar en el mundo, en el corazón de la familia humana. Esta certeza se hace hoy oración: que Dios abra a la Esperanza, que no defrauda nunca, el corazón de aquellos que gobiernan la familia de los pueblos. Movido por estos sentimientos, dirijo a cada uno de vosotros mis mejores votos, para que vosotros, vuestros colaboradores y los pueblos que representáis seáis iluminados por la Gracia y la Paz que nos llegan del Niño de Belén.

[Traducción del original en francés distribuida por la Santa Sede]

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