Il campo di concentramento di Fossoli

CITTA’ DEL VATICANO – Mercoledì, 27 gennaio 2010 (Vatican Diplomacy). Pubblichiamo il pezzo apparso dall’Osservatore Romano di oggi:

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Nessuno si chiedeva perché

La vacuità del mito degli “italiani brava gente” in un volume sul lager nazifascista di Fossoli

di Gaetano Vallini

“L’alba ci colse come un tradimento” è il grido che Primo Levi lanciò al suo arrivo ad Auschwitz e che la storica Liliana Picciotto usa come titolo del suo ultimo lavoro dedicato al campo di concentramento di Fossoli e pubblicato in occasione del Giorno della Memoria. Ben 2844 ebrei passarono di lì dopo essere stati arrestati dalla milizia repubblichina e dalle SS tedesche prima di venire deportati. “Pochi luoghi in Italia sono stati al centro della Shoah come Fossoli di Carpi”, scrive la studiosa, che aggiunge:  “Se è vero che le deportazioni verso i lager furono attuate dagli occupanti, qui si tocca con mano che i primi mattoni della strada lastricata per Auschwitz furono posti dalle autorità italiane”. Con la rigorosità che contraddistingue le sue ricerche su questa pagina oscura della storia, in L’alba ci colse come un tradimento (Milano, Mondadori, 2010, pagine 312, euro 20) Picciotto ricostruisce con dovizia di particolari la storia del campo e le condizioni di vita al suo interno. Ma il suo è soprattutto un dettagliato atto di accusa:  la polizia italiana riempiva Fossoli, quella tedesca lo svuotava con tragici trasporti verso la Polonia e la Germania. Gli occupanti si servirono dei prigionieri a Fossoli, “offerti loro su un piatto d’argento” e “con evidente rinuncia da parte degli italiani alla loro sovranità”.

Campo di concentramento di Fossoli

Campo di concentramento di Fossoli

“Una delle cose francamente più inquietanti di questa tragica storia – sottolinea la studiosa – è che davvero carabinieri e polizia non furono inumani, davvero guardie carcerarie scambiavano sigarette e chiacchiere con i prigionieri, davvero tolsero le manette ai “detenuti” che stavano accompagnando a Fossoli. Semplicemente essi avevano ricevuto un ordine e lo eseguivano, non avevano bisogno per questo di esercitare crudeltà, non era loro richiesto. Non possiamo però definire tutte queste persone “brava gente”; “brava gente” sono coloro che misero a repentaglio la loro sicurezza per soccorrere gli ebrei in pericolo e sapendo di farlo”.

La ricostruzione della macchina antiebraica da parte della storica – autrice tra l’altro di Il libro della memoria (Milano, Mursia,1992), Per ignota destinazione (Milano, Mondadori, 1994) e I Giusti d’Italia (Milano, Mondadori, 2006) – parte dall’8 settembre. Dopo aver occupato con le sue armate gran parte dell’Italia centro-settentrionale, Hitler rimise in sella l’ex alleato Mussolini, assecondandone il progetto della Repubblica di Salò. La decisione ebbe conseguenze terribili sulle comunità ebraiche. Fu proprio allora che obiettivi e metodi della politica di sterminio nazista vennero tragicamente importati anche in Italia.

Già pesantemente colpiti dalle leggi razziali del 1938 che avevano loro negato i diritti civili, gli ebrei furono ulteriormente perseguitati. Nell’autunno del 1943 le truppe del Reich attuarono autonomamente retate in diverse città, tra cui Roma e Firenze. Per non essere da meno rispetto all’alleato occupante, il governo di Salò emanò una legge che prescriveva l’arresto, l’imprigionamento e la confisca dei beni di tutti gli ebrei d’Italia. Così a partire dal 30 novembre furono le questure italiane a dare loro la caccia. Fu quindi necessario individuare un luogo in cui radunare tutte le persone arrestate. L’area di Fossoli di Carpi sembrò logisticamente la più adatta. Il campo entrò in funzione il 5 dicembre e restò sotto il controllo italiano fino al 15 marzo 1944, quando le autorità tedesche imposero un loro comandante e iniziarono a deportare gli ebrei in attuazione della “soluzione finale”.

Prima dell’arrivo dei tedeschi la vita al campo, per quanto triste e angosciosa, era ancora sopportabile. “Il comandante del campo, così come i prigionieri, erano convinti – scrive Picciotto – che tutti fossero lì riuniti in attesa che la guerra finisse. Nello spazio tra le baracche e le cucine i bambini giocavano a pallone, c’era la possibilità di studiare, cucire, leggere, parlare. Il campo era ben organizzato con varie competenze distribuite tra gli internati”. Il cibo era scarso, ma non drammaticamente mancante. C’era la possibilità per i prigionieri di poter uscire per gravi motivi o per casi urgenti.

In questa fase il parroco di Fossoli, don Franco Venturelli, aveva il permesso di accesso al campo. “Si tratteneva ogni volta per parecchie ore, i prigionieri – si legge – gli si affollavano intorno per ricevere conforto, lui forniva pacchi di viveri e vestiario ma, soprattutto, fungeva da tramite con le famiglie all’esterno”. Collaboravano con don Venturelli altri sacerdoti, tra i quali don Tonino Gualdi, segretario del vescovo di Carpi Federico Virgilio Dalla Zuanna. Con l’arrivo dei tedeschi l’accesso al sacerdote fu negato e le condizioni di vita nel campo peggiorarono drammaticamente.

Documento campo Fossoli

Documento campo Fossoli

A febbraio, ancora prima dell’effettivo passaggio del comando ai nazisti, questi avevano di fatto preso il controllo di Fossoli. Nella prima metà del mese tre militari tedeschi si presentarono per una ispezione e censirono i prigionieri. “Si stava preparando, all’insaputa degli internati, un trasporto per il campo di Bergen Belsen e uno per il campo di sterminio di Auschwitz”. Ma se a Fossoli non si era al corrente di ciò, a Modena nessun alto funzionario della questura, a partire dal questore Paolo Magrini, risultò sorpreso dell’utilizzo del campo come luogo di transito verso i lager in Polonia e in Germania (alla fine, complessivamente, dei 2844 ebrei rinchiusi a Fossoli ben 2802 furono deportati). “Dato che le deportazioni tedesche iniziarono quando ancora gli italiani avevano la piena gestione del circondario, non si può affermare – spiega Picciotto – che ci fu cesura tra la prima fase di Fossoli quale campo nazionale per ebrei voluto dalla Rsi e Fossoli come campo tedesco di polizia e di transito per la deportazione. Questa ci sembra una importante novità da sottolineare con forza e che giustifica la nostra idea di una collaborazione, decisa a livello politico, tra amministrazione italiana e amministrazione tedesca quanto al trattamento degli ebrei”.

Ciò detto, attraverso una ricerca approfondita e appassionata, la storica descrive minuziosamente quanto accadeva nel campo, com’era gestito, come venivano effettuati i trasporti verso i lager, i drammatici viaggi nei vagoni piombati, l’arrivo nei campi della morte. È un diario dell’orrore ricostruito attraverso documenti, testimonianze dei sopravvissuti, deposizioni rese nei processi a criminali nazisti attivi in Italia. Fatti inoppugnabili attraverso i quali si fa ulteriormente luce sulla Shoah degli ebrei italiani – 8948 persone identificate, delle quali 8626 deportate, 322 decedute in Italia, 451 arrestati che i tedeschi non fecero in tempo a deportare – ma che offrono anche lo spunto per una riflessione non meno dolorosa.

“Non si può ignorare – scrive al riguardo Liliana Picciotto – il comportamento di quegli abitanti del circondario di Fossoli che ebbero l’occasione di vedere aumentata la possibilità di scambi di merci e di vettovaglie alla vigilia delle partenze dei convogli. Per non parlare delle forniture di cibo e di trasporti, da e per il campo, richieste a ditte di commercio della zona. Con il gran movimento che si creò intorno al campo, possibile che nessuno si sia mai chiesto chi fossero quei civili giunti alla spicciolata con le loro famiglie, che cosa facessero là, perché partissero a scaglioni, che cosa fossero quei vagoni fermi a Carpi con paglia per terra e un bidone, perché partissero con treni merci come animali inchiavardati dall’esterno, dove fossero diretti? La presenza di numerosi bambini e anziani doveva pur rendere ridicola la comoda illusione che si trattasse di un trasferimento degli ebrei verso campi di lavoro”.

Sono interrogativi terribili, che aiutano a meglio comprendere, come scrive Lorenzo Bertuccelli, presidente della Fondazione ex Campo Fossoli, “la vacuità del mito degli “italiani brava gente” con cui il nostro Paese ha cercato di crearsi un alibi e di evitare di fare i conti con quella tragedia”. Una tragedia, afferma il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un breve scritto introduttivo, “la cui memoria dobbiamo mantenere viva nell’animo dei nostri figli”, perché “soltanto la memoria degli orrori di quel tempo può impedire che essi possano mai ripetersi”.

© L’Osservatore Romano – 27 gennaio 2010

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Una Risposta to “Il campo di concentramento di Fossoli”

  1. vaticandiplomacy Says:

    Errata Corrige:

    Nell’articolo viene citato erroneamente il parroco di Fossoli, il nome reale era don Francesco Venturelli, non Franco, medaglia d’oro al valor civile, assassinato da ex partigiani nella notte tra il 15 e il 16 gennaio 1946.

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