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La politica della Chiesa

11 gennaio 2011

CITTA’ DEL VATICANO – Martedì, 11 gennaio 2010 (Vatican Diplomacy). Riportiamo l’editoriale del direttore de L’Osservatore Romano.

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La politica della Chiesa

Agli ambasciatori accreditati presso la Santa Sede – un corpo diplomatico tra i più rappresentativi al mondo – il Papa ha spiegato il ruolo della Chiesa cattolica nel contesto internazionale. Una presenza attiva e rispettosa delle competenze delle autorità civili, animata da una convinzione: che solo Dio risponde al cuore dell’essere umano e che dunque la dimensione religiosa è “innegabile e incoercibile”. Questa è la radice profonda di quella che con un’espressione rapida viene definita la politica vaticana, la quale non cerca inesistenti privilegi ma solo libertà per la missione, caratteristica originaria e costitutiva della comunità cristiana.

Ecco allora la preoccupazione per la libertà religiosa, che per Benedetto XVI è elemento indispensabile nella costruzione della pace. Un diritto fondamentale, dunque, spesso leso o addirittura negato. Oggi è cresciuta la consapevolezza della gravità di questi fenomeni che offendono Dio e l’uomo, rendendo impossibile la convivenza. Si tratta di segnali molto positivi, come le voci preoccupate levatesi in diversi Paesi musulmani e in Europa di fronte alla crescita della cristianofobia e ai sanguinosi attentati che non hanno rispettato nemmeno i luoghi di culto.

L’analisi del Papa è andata alla radice dei pretesti che muovono le campagne di odio, soprattutto nell’immensa regione mediorientale: qui i cristiani – ha ripetuto con le parole del sinodo celebrato in ottobre – sono “cittadini originali e autentici”, come in Iraq ed Egitto, dove la tradizione cristiana è antica e vitale. Non estranei, dunque, ma desiderosi di contribuire alla costruzione del bene comune, fedeli a Dio e leali nei confronti della patria: in Medio Oriente, in Africa, in Cina, dovunque. Per questo Benedetto XVI ha chiesto alle autorità civili dei diversi Paesi gesti concreti a favore di un’autentica libertà religiosa, come l’abrogazione della legge pakistana contro la blasfemia.

Segnali positivi vengono anche dai Paesi di antica cristianità. Se infatti si moltiplicano tenaci tentativi di emarginare la religione – negando il diritto all’obiezione di coscienza in ambito sanitario e giuridico, sopprimendo simboli, imponendo nuove discipline scolastiche, inventando presunti diritti per coprire “desideri egoistici” – il Consiglio d’Europa ha adottato una risoluzione che protegge l’obiezione di coscienza dei medici, mentre molti si sono espressi per l’esposizione del crocifisso, come il Governo italiano seguito da quelli di altri Paesi, e il Patriarcato di Mosca.

Un quadro in chiaroscuro, dunque, dove lo sguardo di Benedetto XVI vede tragedie e difficoltà, ma anche segni positivi. Come è avvenuto per i riconoscimenti nel centenario della nascita di madre Teresa, emblema della politica della Chiesa. Che non pretende favori ma chiede la libertà di testimoniare e annunciare l’amore di Dio in favore di ogni essere umano.

g.m.v.

(©L’Osservatore Romano – 10-11 gennaio 2011)

Udienza al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede

11 gennaio 2011

CITTA’ DEL VATICANO – Martedì, 11 gennaio 2011 (Vatican Diplomacy). Pubblichiamo il video sul canale YouTube del Vaticano e gli articoli apparsi su L’Osservatore Romano di oggi:

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Il primo dei diritti dell’uomo

La traduzione del discorso del Papa al corpo diplomatico

Pubblichiamo una nostra traduzione italiana (dell’Osservatore Romano n.d.r.) del discorso rivolto dal Papa ai membri del corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, ricevuti in udienza nella mattina di lunedì 10 gennaio, nella Sala Clementina.

Eccellenze,
Signore e Signori,

Sono lieto di accogliervi per questo incontro che, ogni anno, vi riunisce intorno al Successore di Pietro, illustri Rappresentanti di così numerosi Paesi. Esso riveste un alto significato, poiché offre un’immagine e al tempo stesso un esempio del ruolo della Chiesa e della Santa Sede nella comunità internazionale. Rivolgo a ciascuno di voi saluti e voti cordiali, in particolare a quanti sono qui per la prima volta. Vi sono riconoscente per l’impegno e l’attenzione con i quali, nell’esercizio delle vostre delicate funzioni, seguite le mie attività, quelle della Curia Romana e, così, in un certo modo, la vita della Chiesa cattolica in ogni parte del mondo. Il vostro Decano, l’Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, si è fatto interprete dei vostri sentimenti, e lo ringrazio per gli auguri che mi ha espresso a nome di tutti. Sapendo quanto la vostra comunità è unita, sono certo che è presente oggi nel vostro pensiero l’Ambasciatrice del Regno dei Paesi Bassi, la Baronessa van Lynden-Leijten, ritornata qualche settimana fa alla casa del Padre. Mi associo nella preghiera ai vostri sentimenti di commozione.

Quando inizia un nuovo anno, nei nostri cuori e nel mondo intero risuona ancora l’eco del gioioso annuncio che è brillato venti secoli or sono nella notte di Betlemme, notte che simboleggia la condizione dell’umanità, nel suo bisogno di luce, d’amore e di pace. Agli uomini di allora come a quelli di oggi, le schiere celesti hanno recato la buona notizia dell’avvento del Salvatore: “Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse” (Is 9, 1). Il Mistero del Figlio di Dio che diventa figlio d’uomo supera sicuramente ogni attesa umana. Nella sua gratuità assoluta, questo avvenimento di salvezza è la risposta autentica e completa al desiderio profondo del cuore. La verità, il bene, la felicità, la vita in pienezza, che ogni uomo ricerca consapevolmente o inconsapevolmente, gli sono donati da Dio. Aspirando a questi benefici, ogni persona è alla ricerca del suo Creatore, perché “solo Dio risponde alla sete che sta nel cuore di ogni uomo” (Esort. ap. postsinodale Verbum Domini, 23). L’umanità, in tutta la sua storia, attraverso le sue credenze e i suoi riti, manifesta un’incessante ricerca di Dio e “tali forme d’espressione sono così universali che l’uomo può essere definito un essere religioso” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 28). La dimensione religiosa è una caratteristica innegabile e incoercibile dell’essere e dell’agire dell’uomo, la misura della realizzazione del suo destino e della costruzione della comunità a cui appartiene. Pertanto, quando l’individuo stesso o coloro che lo circondano trascurano o negano questo aspetto fondamentale, si creano squilibri e conflitti a tutti i livelli, tanto sul piano personale che su quello interpersonale.

È in questa verità primaria e fondamentale che si trova la ragione per cui ho indicato la libertà religiosa come la via fondamentale per la costruzione della pace, nel Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace di quest’anno. La pace, infatti, si costruisce e si conserva solamente quando l’uomo può liberamente cercare e servire Dio nel suo cuore, nella sua vita e nelle sue relazioni con gli altri.

Signore e Signori Ambasciatori, la vostra presenza in questa circostanza solenne è un invito a compiere un giro di orizzonte su tutti i Paesi che voi rappresentate e sul mondo intero. In questo panorama, non vi sono forse numerose situazioni nelle quali, purtroppo, il diritto alla libertà religiosa è leso o negato? Questo diritto dell’uomo, che in realtà è il primo dei diritti, perché, storicamente, è stato affermato per primo, e, d’altra parte, ha come oggetto la dimensione costitutiva dell’uomo, cioè la sua relazione con il Creatore, non è forse troppo spesso messo in discussione o violato? Mi sembra che la società, i suoi responsabili e l’opinione pubblica si rendano oggi maggiormente conto, anche se non sempre in modo esatto, di tale grave ferita inferta contro la dignità e la libertà dell’homo religiosus, sulla quale ho tenuto, a più riprese, ad attirare l’attenzione di tutti.

L’ho fatto durante i miei viaggi apostolici dell’anno scorso, a Malta e in Portogallo, a Cipro, nel Regno Unito e in Spagna. Al di là delle caratteristiche di questi Paesi, conservo di tutti un ricordo pieno di gratitudine per l’accoglienza che mi hanno riservato. L’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, che si è svolta in Vaticano nel corso del mese di ottobre, è stata un momento di preghiera e di riflessione, durante il quale il pensiero si è rivolto con insistenza verso le comunità cristiane di quelle regioni del mondo, così provate a causa della loro adesione a Cristo e alla Chiesa.

Sì, guardando verso l’Oriente, gli attentati che hanno seminato morte, dolore e smarrimento tra i cristiani dell’Iraq, al punto da spingerli a lasciare la terra dove i loro padri hanno vissuto lungo i secoli, ci hanno profondamente addolorato. Rinnovo alle Autorità di quel Paese e ai capi religiosi musulmani il mio preoccupato appello ad operare affinché i loro concittadini cristiani possano vivere in sicurezza e continuare ad apportare il loro contributo alla società di cui sono membri a pieno titolo. Anche in Egitto, ad Alessandria, il terrorismo ha colpito brutalmente dei fedeli in preghiera in una chiesa. Questa successione di attacchi è un segno ulteriore dell’urgente necessità per i Governi della Regione di adottare, malgrado le difficoltà e le minacce, misure efficaci per la protezione delle minoranze religiose. Bisogna dirlo ancora una volta? In Medio Oriente, “i cristiani sono cittadini originali e autentici, leali alla loro patria e fedeli a tutti i loro doveri nazionali. È naturale che essi possano godere di tutti i diritti di cittadinanza, di libertà di coscienza e di culto, di libertà nel campo dell’insegnamento e dell’educazione e nell’uso dei mezzi di comunicazione” (Messaggio al Popolo di Dio dell’Assemblea Speciale per il Medio Oriente del Sinodo dei Vescovi, 10). A tale riguardo, apprezzo l’attenzione per i diritti dei più deboli e la lungimiranza politica di cui hanno dato prova alcuni Paesi d’Europa negli ultimi giorni, domandando una risposta concertata dell’Unione Europea affinché i cristiani siano difesi nel Medio Oriente. Vorrei ricordare infine che la libertà religiosa non è pienamente applicata là dove è garantita solamente la libertà di culto, per di più con delle limitazioni. Incoraggio, inoltre, ad accompagnare la piena tutela della libertà religiosa e degli altri diritti umani con programmi che, fin dalla scuola primaria e nel quadro dell’insegnamento religioso, educhino al rispetto di tutti i fratelli nell’umanità. Per quanto riguarda poi gli Stati della Penisola Arabica, dove vivono numerosi lavoratori immigrati cristiani, auspico che la Chiesa cattolica possa disporre di adeguate strutture pastorali.

Tra le norme che ledono il diritto delle persone alla libertà religiosa, una menzione particolare dev’essere fatta della legge contro la blasfemia in Pakistan: incoraggio di nuovo le Autorità di quel Paese a compiere gli sforzi necessari per abrogarla, tanto più che è evidente che essa serve da pretesto per provocare ingiustizie e violenze contro le minoranze religiose. Il tragico assassinio del Governatore del Punjab mostra quanto sia urgente procedere in tal senso: la venerazione nei riguardi di Dio promuove la fraternità e l’amore, non l’odio e la divisione. Altre situazioni preoccupanti, talvolta con atti di violenza, possono essere menzionate nel Sud e nel Sud-Est del continente asiatico, in Paesi che hanno peraltro una tradizione di rapporti sociali pacifici. Il peso particolare di una determinata religione in una nazione non dovrebbe mai implicare che i cittadini appartenenti ad un’altra confessione siano discriminati nella vita sociale o, peggio ancora, che sia tollerata la violenza contro di essi. A questo proposito, è importante che il dialogo inter-religioso favorisca un impegno comune a riconoscere e promuovere la libertà religiosa di ogni persona e di ogni comunità. Infine, come ho già ricordato, la violenza contro i cristiani non risparmia l’Africa. Gli attacchi contro luoghi di culto in Nigeria, proprio mentre si celebrava la Nascita di Cristo, ne sono un’altra triste testimonianza.

In diversi Paesi, d’altronde, la Costituzione riconosce una certa libertà religiosa, ma, di fatto, la vita delle comunità religiose è resa difficile e talvolta anche precaria (cfr. Conc. Vat. ii, Dich. Dignitatis humanae, 15), perché l’ordinamento giuridico o sociale si ispira a sistemi filosofici e politici che postulano uno stretto controllo, per non dire un monopolio, dello Stato sulla società. Bisogna che cessino tali ambiguità, in modo che i credenti non si trovino dibattuti tra la fedeltà a Dio e la lealtà alla loro patria. Domando in particolare che sia garantita dovunque alle comunità cattoliche la piena autonomia di organizzazione e la libertà di compiere la loro missione, in conformità alle norme e agli standards internazionali in questo campo.
In questo momento, il mio pensiero si volge di nuovo verso la comunità cattolica della Cina continentale e i suoi Pastori, che vivono un momento di difficoltà e di prova. D’altro canto, vorrei indirizzare una parola di incoraggiamento alle Autorità di Cuba, Paese che ha celebrato nel 2010 settantacinque anni di relazioni diplomatiche ininterrotte con la Santa Sede, affinché il dialogo che si è felicemente instaurato con la Chiesa si rafforzi ulteriormente e si allarghi.

Spostando il nostro sguardo dall’Oriente all’Occidente, ci troviamo di fronte ad altri tipi di minacce contro il pieno esercizio della libertà religiosa. Penso, in primo luogo, a Paesi nei quali si accorda una grande importanza al pluralismo e alla tolleranza, ma dove la religione subisce una crescente emarginazione. Si tende a considerare la religione, ogni religione, come un fattore senza importanza, estraneo alla società moderna o addirittura destabilizzante, e si cerca con diversi mezzi di impedirne ogni influenza nella vita sociale. Si arriva così a pretendere che i cristiani agiscano nell’esercizio della loro professione senza riferimento alle loro convinzioni religiose e morali, e persino in contraddizione con esse, come, per esempio, là dove sono in vigore leggi che limitano il diritto all’obiezione di coscienza degli operatori sanitari o di certi operatori del diritto.

In tale contesto, non si può che rallegrarsi dell’adozione da parte del Consiglio d’Europa, nello scorso mese di ottobre, di una Risoluzione che protegge il diritto del personale medico all’obiezione di coscienza di fronte a certi atti che ledono gravemente il diritto alla vita, come l’aborto.

Un’altra manifestazione dell’emarginazione della religione e, in particolare, del cristianesimo, consiste nel bandire dalla vita pubblica feste e simboli religiosi, in nome del rispetto nei confronti di quanti appartengono ad altre religioni o di coloro che non credono. Agendo così, non soltanto si limita il diritto dei credenti all’espressione pubblica della loro fede, ma si tagliano anche radici culturali che alimentano l’identità profonda e la coesione sociale di numerose nazioni. L’anno scorso, alcuni Paesi europei si sono associati al ricorso del Governo italiano nella ben nota causa concernente l’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici. Desidero esprimere la mia gratitudine alle Autorità di queste nazioni, come pure a tutti coloro che si sono impegnati in tal senso, Episcopati, Organizzazioni e Associazioni civili o religiose, in particolare il Patriarcato di Mosca e gli altri rappresentanti della gerarchia ortodossa, come tutte le persone – credenti ma anche non credenti – che hanno tenuto a manifestare il loro attaccamento a questo simbolo portatore di valori universali.

Riconoscere la libertà religiosa significa, inoltre, garantire che le comunità religiose possano operare liberamente nella società, con iniziative nei settori sociale, caritativo od educativo. In ogni parte del mondo, d’altronde, si può constatare la fecondità delle opere della Chiesa cattolica in questi campi. È preoccupante che questo servizio che le comunità religiose offrono a tutta la società, in particolare per l’educazione delle giovani generazioni, sia compromesso o ostacolato da progetti di legge che rischiano di creare una sorta di monopolio statale in materia scolastica, come si constata ad esempio in certi Paesi dell’America Latina. Mentre parecchi di essi celebrano il secondo centenario della loro indipendenza, occasione propizia per ricordarsi del contributo della Chiesa cattolica alla formazione dell’identità nazionale, esorto tutti i governi a promuovere sistemi educativi che rispettino il diritto primordiale delle famiglie a decidere circa l’educazione dei figli e che si ispirino al principio di sussidiarietà, fondamentale per organizzare una società giusta.

Proseguendo la mia riflessione, non posso passare sotto silenzio un’altra minaccia alla libertà religiosa delle famiglie in alcuni Paesi europei, là dove è imposta la partecipazione a corsi di educazione sessuale o civile che trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un’antropologia contraria alla fede e alla retta ragione.

Signore e Signori Ambasciatori,

in questa circostanza solenne, permettetemi di esplicitare alcuni principi a cui la Santa Sede, con tutta la Chiesa cattolica, si ispira nella sua attività presso le Organizzazioni Internazionali intergovernative, al fine di promuovere il pieno rispetto della libertà religiosa per tutti. In primo luogo, la convinzione che non si può creare una sorta di scala nella gravità dell’intolleranza verso le religioni. Purtroppo, un tale atteggiamento è frequente, e sono precisamente gli atti discriminatori contro i cristiani che sono considerati meno gravi, meno degni di attenzione da parte dei governi e dell’opinione pubblica. Al tempo stesso, si deve pure rifiutare il contrasto pericoloso che alcuni vogliono instaurare tra il diritto alla libertà religiosa e gli altri diritti dell’uomo, dimenticando o negando così il ruolo centrale del rispetto della libertà religiosa nella difesa e protezione dell’alta dignità dell’uomo. Meno giustificabili ancora sono i tentativi di opporre al diritto alla libertà religiosa, dei pretesi nuovi diritti, attivamente promossi da certi settori della società e inseriti nelle legislazioni nazionali o nelle direttive internazionali, ma che non sono, in realtà, che l’espressione di desideri egoistici e non trovano il loro fondamento nell’autentica natura umana. Infine, occorre affermare che una proclamazione astratta della libertà religiosa non è sufficiente: questa norma fondamentale della vita sociale deve trovare applicazione e rispetto a tutti i livelli e in tutti i campi; altrimenti, malgrado giuste affermazioni di principio, si rischia di commettere profonde ingiustizie verso i cittadini che desiderano professare e praticare liberamente la loro fede.

La promozione di una piena libertà religiosa delle comunità cattoliche è anche lo scopo che persegue la Santa Sede quando conclude Concordati o altri Accordi. Mi rallegro che Stati di diverse regioni del mondo e di diverse tradizioni religiose, culturali e giuridiche scelgano il mezzo delle convenzioni internazionali per organizzare i rapporti tra la comunità politica e la Chiesa cattolica, stabilendo attraverso il dialogo il quadro di una collaborazione nel rispetto delle reciproche competenze. L’anno scorso è stato concluso ed è entrato in vigore un Accordo per l’assistenza religiosa dei fedeli cattolici delle forze armate in Bosnia-Erzegovina, e negoziati sono attualmente in corso in diversi Paesi. Speriamo in un esito positivo, capace di assicurare soluzioni rispettose della natura e della libertà della Chiesa per il bene di tutta la società.

L’attività dei Rappresentanti Pontifici presso Stati ed Organizzazioni internazionali è ugualmente al servizio della libertà religiosa. Vorrei rilevare con soddisfazione che le Autorità vietnamite hanno accettato che io designi un Rappresentante, che esprimerà con le sue visite alla cara comunità cattolica di quel Paese la sollecitudine del Successore di Pietro. Vorrei ugualmente ricordare che, durante l’anno passato, la rete diplomatica della Santa Sede si è ulteriormente consolidata in Africa, una presenza stabile è ormai assicurata in tre Paesi dove il Nunzio non è residente. A Dio piacendo, mi recherò ancora in quel continente, in Benin, nel novembre prossimo, per consegnare l’Esortazione Apostolica che raccoglierà i frutti dei lavori della Seconda Assemblea Speciale per l’Africa del Sinodo dei Vescovi.

Dinanzi a questo illustre uditorio, vorrei infine ribadire con forza che la religione non costituisce per la società un problema, non è un fattore di turbamento o di conflitto. Vorrei ripetere che la Chiesa non cerca privilegi, né vuole intervenire in ambiti estranei alla sua missione, ma semplicemente esercitare questa missione con libertà. Invito ciascuno a riconoscere la grande lezione della storia: “Come negare il contributo delle grandi religioni del mondo allo sviluppo della civiltà? La sincera ricerca di Dio ha portato ad un maggiore rispetto della dignità dell’uomo. Le comunità cristiane, con il loro patrimonio di valori e principi, hanno fortemente contribuito alla presa di coscienza delle persone e dei popoli circa la propria identità e dignità, nonché alla conquista di istituzioni democratiche e all’affermazione dei diritti dell’uomo e dei suoi corrispettivi doveri. Anche oggi i cristiani, in una società sempre più globalizzata, sono chiamati, non solo con un responsabile impegno civile, economico e politico, ma anche con la testimonianza della propria carità e fede, ad offrire un contributo prezioso al faticoso ed esaltante impegno per la giustizia, per lo sviluppo umano integrale e per il retto ordinamento delle realtà umane” (Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2011, 7).

Emblematica, a questo proposito, è la figura della Beata Madre Teresa di Calcutta: il centenario della sua nascita è stato celebrato a Tirana, a Skopje e a Pristina come in India; un vibrante omaggio le è stato reso non soltanto dalla Chiesa, ma anche da Autorità civili e capi religiosi, senza contare le persone di tutte le confessioni. Esempi come il suo mostrano al mondo quanto l’impegno che nasce dalla fede sia benefico per tutta la società.

Che nessuna società umana si privi volontariamente dell’apporto fondamentale che costituiscono le persone e le comunità religiose! Come ricordava il Concilio Vaticano ii, assicurando pienamente e a tutti la giusta libertà religiosa, la società potrà “godere dei beni di giustizia e di pace che provengono dalla fedeltà degli uomini verso Dio e la sua santa volontà” (Dich. Dignitatis humanae, 6).

Ecco perché, mentre formulo voti affinché questo nuovo anno sia ricco di concordia e di reale progresso, esorto tutti, responsabili politici, capi religiosi e persone di ogni categoria, ad intraprendere con determinazione la via verso una pace autentica e duratura, che passa attraverso il rispetto del diritto alla libertà religiosa in tutta la sua estensione.

Su questo impegno, per la cui attuazione è necessario lo sforzo dell’intera famiglia umana, invoco la Benedizione di Dio Onnipotente, che ha operato la nostra riconciliazione con Lui e tra di noi, per mezzo del suo Figlio Gesù Cristo, nostra pace (cfr. Ef 2, 14).

Buon anno a tutti!

(©L’Osservatore Romano – 10-11 gennaio 2011)

Caso Boffo, comunicato della Santa Sede

10 febbraio 2010

CITTA’ DEL VATICANO – Mercoledì, 10 febbraio 2010 (Vatican Diplomacy). Riportiamo il pezzo apparso sull’Osservatore Romano di oggi.

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Comunicato della Segreteria di Stato

Il Santo Padre ha approvato il seguente comunicato e ne ha ordinato la pubblicazione.

Dal 23 gennaio si stanno moltiplicando, soprattutto su molti media italiani, notizie e ricostruzioni che riguardano le vicende connesse con le dimissioni del direttore del quotidiano cattolico italiano “Avvenire”, con l’evidente intenzione di dimostrare una implicazione nella vicenda del direttore de “L’Osservatore Romano”, arrivando a insinuare responsabilità addirittura del cardinale segretario di Stato. Queste notizie e ricostruzioni non hanno alcun fondamento.

In particolare, è falso che responsabili della Gendarmeria vaticana o il direttore de “L’Osservatore Romano” abbiano trasmesso documenti che sono alla base delle dimissioni, il 3 settembre scorso, del direttore di “Avvenire”; è falso che il direttore de “L’Osservatore Romano” abbia dato – o comunque trasmesso o avallato in qualsiasi modo – informazioni su questi documenti, ed è falso che egli abbia scritto sotto pseudonimo, o ispirato, articoli su altre testate.

Appare chiaro dal moltiplicarsi delle argomentazioni e delle ipotesi più incredibili – ripetute sui media con una consonanza davvero singolare – che tutto si basa su convinzioni non fondate, con l’intento di attribuire al direttore de “L’Osservatore Romano”, in modo gratuito e calunnioso, un’azione immotivata, irragionevole e malvagia. Ciò sta dando luogo a una campagna diffamatoria contro la Santa Sede, che coinvolge lo stesso Romano Pontefice.

Il Santo Padre Benedetto XVI, che è sempre stato informato, deplora questi attacchi ingiusti e ingiuriosi, rinnova piena fiducia ai suoi collaboratori e prega perché chi ha veramente a cuore il bene della Chiesa operi con ogni mezzo perché si affermino la verità e la giustizia.

Dal Vaticano, 9 febbraio 2010.

©L’Osservatore Romano – 10 febbraio 2010

Se anche Benedetto XVI e Pio XII diventano vittime del pregiudizio

21 gennaio 2010

CITTA’ DEL VATICANO – Giovedì, 21 gennaio 2010 (Vatican Diplomacy). Pubblichiamo un pezzo precedentemente pubblicato sul Corriere della Sera il 20 gennaio relativo al rapporto tra Ebrei e cattolici, e a sua volta ripreso dall’Osservatore Romano di oggi:

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Malafede
e disinformazione

Quando i capri espiatori si chiamano Pio e Benedetto

Riprendiamo dal «Corriere della Sera» del 20 gennaio un commento scritto dopo l’incontro di Benedetto XVI con la comunità ebraica di Roma.

di BERNARD-HENRI LÉVY

Bisognerebbe smetterla con la malafede, il partito preso e, per dirla tutta, la disinformazione, non appena si tratta di Benedetto XVI. Fin dalla sua elezione, si è intentato un processo al suo «ultraconservatorismo», ripreso di continuo dai mass media (come se un Papa potesse essere altra cosa che «conservatore»). Si è insistito con sottintesi, se non addirittura con battute pesanti, sul «Papa tedesco», sul «post-nazista» in sottana, su colui che la trasmissione satirica francese «Les Guignols» non esitava a soprannominare «Adolfo II».

Si sono falsificati, puramente e semplicemente, i testi: per esempio, a proposito del suo viaggio ad Auschwitz del 2006, si sostenne e – dal momento che col passar del tempo i ricordi si fanno più incerti – ancor oggi si ripete che avrebbe reso onore alla memoria dei sei milioni di morti polacchi, vittime di una semplice «banda di criminali», senza precisare che la metà di loro erano ebrei (la controverità è davvero sbalorditiva, poiché Benedetto XVI in quell’ occasione parlò effettivamente dei «potenti del III Reich» che tentarono «di eliminare» il «popolo ebraico» dal «rango delle nazioni della Terra» Le Monde, 30/5/2006).

Ed ecco che, in occasione della visita del Papa alla sinagoga di Roma e dopo le sue due visite alle sinagoghe di Colonia e di New York, lo stesso coro di disinformatori ha stabilito un primato, stavo per dire che ha riportato la palma della vittoria, poiché non ha aspettato nemmeno che il Papa oltrepassasse il Tevere per annunciare, urbi et orbi, che egli non aveva saputo trovare le parole che bisognava dire, né compiuto i gesti che bisognava fare e che dunque aveva fallito nel suo intento…

Allora, visto che l’ evento è ancora caldo, mi si consentirà di mettere qualche puntino su qualche «i». Benedetto XVI, quando si è raccolto in preghiera davanti alla corona di rose rosse deposta di fronte alla targa commemorativa del martirio dei 1021 ebrei romani deportati, non ha fatto che il suo dovere, ma l’ ha fatto. Benedetto XVI, quando ha reso omaggio ai «volti» degli «uomini, donne e bambini» presi in una retata nell’ ambito del progetto di «sterminio del popolo dell’ Alleanza di Mosè», ha detto un’ evidenza, ma l’ ha detta. Di Benedetto XVI che riprende, parola per parola, i termini della preghiera di Giovanni Paolo II, dieci anni fa, al Muro del Pianto; di Benedetto XVI che chiede quindi «perdono» al popolo ebraico devastato dal furore di un antisemitismo per lungo tempo di essenza cattolica e nel farlo, ripeto, legge il testo di Giovanni Paolo II, bisogna smettere di ripetere, come somari, che egli è indietro-rispetto-al-suo-predecessore.

A Benedetto XVI che dichiara infine, dopo una seconda sosta davanti all’ iscrizione che commemora l’ attentato commesso nel 1982 dagli estremisti palestinesi, che il dialogo ebraico cattolico avviato dal Concilio Vaticano II è ormai «irrevocabile»; a Benedetto XVI che annuncia di aver l’ intenzione di «approfondire» il «dibattito fra uguali» che è il dibattito con i «fratelli maggiori» che sono gli ebrei, si possono fare tutti i processi che si vuole, ma non quello di «congelare» i progressi compiuti da Giovanni XXIII.

Quanto alla vicenda molto complessa di Pio XII, ci tornerò, se necessario. Tornerò sul caso di Rolf Hochhuth, autore del famoso «Il vicario», che nel 1963 lanciò la polemica sui «silenzi di Pio XII». In particolare, tornerò sul fatto che questo focoso giustiziere è anche un negazionista patentato, condannato più volte come tale e la cui ultima provocazione, cinque anni fa, fu di prendere le difese, in un’ intervista al settimanale di estrema destra Junge Freiheit, di colui che nega l’ esistenza delle camere a gas, David Irving. Per ora, voglio giusto ricordare, come ha appena fatto Laurent Dispot nella rivista che dirigo, La règle du jeu, che il terribile Pio XII, nel 1937, quando ancora era soltanto il cardinale Pacelli, fu il coautore con Pio XI dell’ Enciclica Mit brennender Sorge («Con viva preoccupazione»), che ancora oggi continua ad essere uno dei manifesti antinazisti più fermi e più eloquenti.

Per ora, dobbiamo per esattezza storica precisare che, prima di optare per l’ azione clandestina, prima di aprire, senza dirlo, i suoi conventi agli ebrei romani braccati dai fascisti, il silenzioso Pio XII pronunciò alcune allocuzioni radiofoniche (per esempio Natale 1941 e 1942) che gli valsero, dopo la morte, l’ omaggio di Golda Meir: «Durante i dieci anni del terrore nazista, mentre il nostro popolo soffriva un martirio spaventoso, la voce del Papa si levò per condannare i carnefici».

E, per ora, ci si meraviglierà soprattutto che, dell’ assordante silenzio sceso nel mondo intero sulla Shoah, si faccia portare tutto il peso, o quasi, a colui che, fra i sovrani del momento: a) non aveva cannoni né aerei a disposizione; b) non risparmiò i propri sforzi per condividere, con chi disponeva di aerei e cannoni, le informazioni di cui veniva a conoscenza; c) salvò in prima persona, a Roma ma anche altrove, un grandissimo numero di coloro di cui aveva la responsabilità morale. Ultimo ritocco al Grande Libro della bassezza contemporanea: Pio o Benedetto, si può essere Papa e capro espiatorio. traduzione di Daniela Maggioni

© Corriere della Sera – 20 gennaio 2010, articolo originario disponibile qui

© L’Osservatore Romano – 21 gennaio 2010, articolo ripubblicato

Inaugurato l’ottantunesimo Anno giudiziario in Vaticano

4 gennaio 2010

CITTA’ DEL VATICANO – Domenica, 3 gennaio 2010 (Vatican Diplomacy). Riportiamo il video del CTV e il pezzo di Radio Vaticana sull’inaugurazione dell’ottantunesimo anno giudiziario dello Stato Vaticano:

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Crescere nella “consapevolezza” che la giustizia, come l’armonia e la pace, “non sono pienamente raggiungibili senza l’adesione a Dio”. Con questo augurio, il cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, ha concluso questa mattina, nella cappella del Palazzo del Governatorato, l’omelia della Messa per l’inaugurazione dell’Anno giudiziario in Vaticano. Successivamente, il promotore di giustizia vaticano, l’avv. Nicola Picardi, ha definito nella sua relazione d’apertura il 2009 un anno di “ottima produttività” per gli apparati giudiziari dello Stato. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Il sistema giudiziario vaticano, nel suo complesso, è nella fase attuale “sufficientemente equilibrato ed efficiente”. La relazione dell’avvocato Picardi, riferita agli ultimi 12 mesi di attività dei tribunali e degli uffici giudiziari vaticani è stata permeata da una generale soddisfazione. Dopo l’ampia e tradizionale descrizione sull’evoluzione storica della giustizia vaticana, durante la quale è stata ricordata l’80.mo di fondazione del Tribunale vaticano, Picardi ha esposto le cifre relative all’ultimo anno durante il quale, ha affermato, “il sistema giudiziario vaticano ha raggiunto un’ottima produttività”. A fronte dei 474 procedimenti civili e dei 446 procedimenti penali registrati lo scorso anno all’interno dello Stato, ha constatato il promotore giustizia:

“…il rapporto di ricambio segnala, infatti, che in questo tribunale vengono esauriti tutti i processi sopravvenuti, sia nel civile (99,9%) che nel penale (102,3%). Quanto al civile … viene, poi, evidenziato che l’arretrato è molto contenuto e corrisponde ai giudizi collegiali, che sono indubbiamente i più impegnativi (…) Ne consegue che, allo stato, il sistema giudiziario vaticano, nel suo complesso, è, comunque, sufficientemente equilibrato ed efficiente”.

L’arretrato, ha poi riferito, è “molto contenuto” per quanto concerne il civile – i 16 procedimenti attualmente in pendenza sono relativi, ha spiegato Picardi, ai giudizi collegiali, “i più impegnativi” – mentre resta “considerevole” l’arretrato nel settore penale (281 processi), che finisce per incidere sulla durata media dei relativi procedimenti – salita a 745 giorni – mentre è di soli 7,4 giorni quella dei procedimenti civili. Tuttavia, ha sottolineato il promotore di giustizia, si tratta “di tempi medi nettamente inferiori a quelli registrati di solito in Italia”.

Un nodo della relazione ha riguardato la consueta sproporzione che si registra ogni anno tra il totale dei processi civili e penali affrontati dai vari tribunali vaticani e l’esiguo numero di abitanti, 492, che risiedono nello Stato. Picardi ha nuovamente precisato che le cifre vanno riferite ai circa 18 milioni di pellegrini e turisti che transitano ogni anno soprattutto nella Basilica di San Pietro e nei Musei Vaticani e ai quali va imputato il 99% del contenzioso. In quest’ottica, ha aggiunto, si spiega la necessità di fare spesso ricorso a forme di assistenza giudiziaria internazionale – come nel caso delle rogatorie – con “conseguenti difficoltà giuridiche e pratiche”, per via dei “tempi lunghi” di notificazione.

“Alcune preoccupazioni”, ha evidenziato inoltre Picardi, riguardano l’applicazione della nuova normativa riguardante il pubblico impiego in Vaticano. Il primo gennaio 2010, ha ricordato, è entrato in vigore il nuovo Statuto dell’Ulsa, l’Ufficio del Lavoro della Sede Apostolica che tutela i “diritti economici e sociali” dei dipendenti vaticani. Le sue norme consentono in sostanza a un dipendente che si ritenga leso da un provvedimento amministrativo di ricorrere all’autorità giudiziaria vaticana, oltre che come in passato all’arbitrato dell’Ulsa. “Non è difficile prevedere”, ha obiettato Picardi, che questa innovazione, peraltro importante, finisca per causare un aggravio di lavoro al tribunale, se non si introdurranno dei correttivi, oltre a un più generale potenziamento degli organici di tribunali e uffici:

“Di fronte alle accresciute competenze, sia quantitative che qualitative, questo Ufficio del Promotore di giustizia (direttamente coinvolto, in quanto trattasi di controversie di natura pubblicistica), non può non sottolineare la preoccupazione che tale novità – sotto altro profilo lodevole – finisca per compromettere gravemente le funzionalità del tribunale, in un momento in cui, fra l’altro, esso è sottodimensionato, in quanto sprovvisto del giudice aggiunto”.

Affrontando infine il capitolo relativo alla cooperazione internazionale per ciò che riguarda l’attività investigativa e di tutela della sicurezza, il promotore di giustizia vaticano ha ribadito che oggi esse non sono possibili “senza tener conto dei vincoli di interdipendenza fra i sistemi giudiziari dei diversi Stati e senza un’efficace collaborazione tra le rispettive autorità giudiziarie”. In questo quadro, ha notato, rientra il fenomeno del terrorismo internazionale, che “sembra richiedere forme nuove di cooperazione finalizzate al perfezionamento di misure a tutela della sicurezza”. Ringraziando in particolare le autorità giudiziarie italiane – alcune delle quali presenti alla cerimonia odierna – per l’intensa collaborazione con gli organi vaticani, l’avvocato Picardi ha auspicato che sul fronte della sicurezza, dopo l’adesione dello Stato del Vaticano e dell’Interpol nel 2008, “un ulteriore passo importante potrebbe essere rappresentato dell’adesione di questo Stato a Eurojust, l’Agenzia europea con sede all’Aja, che, ormai da sei anni, sta svolgendo una vasta azione contro il terrorismo internazionale, con riguardo anche alla lotta contro il crimine transfrontaliero.

In mattinata – durante l’omelia della Messa che ha aperto la giornata d’inaugurazione dell’Anno giudiziario – il cardinale Bertone aveva offerto un pensiero spirituale. La “logica umana” che presiede l’esercizio della giustizia sia sempre inserita, ha detto, “in una prospettiva più grande”, quella che viene dal Vangelo:

“Soltanto aderendo all’amore di Cristo diventiamo capaci di diffondere questo amore attorno a noi e di testimoniarlo nei vari ambiti in cui siamo chiamati ad operare, compresa la giustizia, la cui amministrazione chiede a chi è credente competenza umana, ma anche capacità di andare oltre perché tutto, anche un’eventuale decisione sfavorevole, sia dettata dall’amore più grande che nasce da Dio”.

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