Archive for the ‘United States Embassy’ Category

Bush incontra il Papa: “Un grande onore”

13 giugno 2008

CITTA’ DEL VATICANO – Venerdì, 13 giugno 2008 (Vatican Diplomacy). Il pezzo di repubblica.it:

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Il presidente Bush vede per mezz’ora privatamente il Papa, poi passeggia
col Pontefice e la moglie per i giardini. Tra battute e momenti fuori protocollo

La mattinata in Vaticano di Bush “Impegno comune su valori morali”

Il capo della Casa Bianca ha lasciato Roma, destinazione Parigi

CITTA’ DEL VATICANO – E’ stato un commiato tra vecchi amici, con diversi momenti fuori dal protocollo, quello di stamane tra Papa Ratzinger e il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush. In un’atmosfera familiare e rilassata, complice il bellissimo scenario dei giardini vaticani. Spazio anche alle battute: Bush ha chiesto quanto è grande il Vaticano, poi ha aggiunto “sicuramente è più importante del Texas…”. Quanto ai temi affrontati, un comunicato della Santa Sede informa che i due leader si sono soffermati sull’impegno comune a difesa dei “valori morali fondamentali” (impegno per il quale Benedetto ha ringraziato il suo ospite). E poi temi internazionali come i rapporti tra Europa e Stati Uniti, il Medio Oriente, gli sforzi per la pace in Terra Santa, la fame e la globalizzazione.

FOTO/VIDEO

Chi però si aspettava una preghiera o un momento di raccoglimento pubblico davanti alla Grotta della Madonna di Lourdes, che sancisse la loro profonda sintonia spirituale davanti alle telecamere di tutto il mondo o addirittura una ventilata conversione di Bush al cattolicesimo, è rimasto deluso.

La limousine nera del presidente americano è giunta davanti alla Torre di San Giovanni verso le 10,55 circa, scortata da un imponente corteo della sicurezza. Circostanza decisamente insolita, in un cerimoniale tutto speciale, Benedetto XVI ha atteso il suo ospite per qualche minuto, mentre il suo fedele segretario, don George, gli aggiustava sorridendo la croce sul petto. “Che onore, che onore, che onore”: ha esclamato un Bush felice e emozionato, scendendo dalla auto e stringendo la mano a Benedetto XVI, seguito dalla moglie Laura, in completo scuro.

Subito, i sue uomini sono saliti al primo piano della Torre medioevale, dove si trova una studio; la First Lady ha invece atteso nel salotto al pianterreno, insieme all’ambasciatrice statunitense presso la Santa Sede, Mary Ann Glendon, raggiunte poi, con una ventina minuti di ritardo, dal cardinale segretario di Stato, card. Tarcisio Bertone.

La conversazione a quattr’occhi è durata una trentina di minuti. Subito dopo, il Papa ha accompagnato l’amico Bush sulla terrazza della Torre per mostrargli il magnifico panorama su San Pietro e su Roma che da lì si gode. Giù nel salotto poi, il tradizionale scambio di doni: Benedetto XVI ha regalato al suo ospite una grande foto autografata ritraente sia il Papa sia il presidente Bush che la moglie Laura, tutti e tre sorridenti e felici. L’inquilino della Casa Bianca ha ricambiato con un’altra foto autografata da lui che lo mostrava insieme a Ratzinger nell’atto di un saluto. Insieme hanno riso di aver avuto la stessa idea; poi, il presidente ha consegnato a Benedetto XVI anche un album fotografico del suo trionfale viaggio negli Usa, avvenuto dal 15 al 20 aprile scorso. Regalo molto apprezzato.

Dopo le foto di rito, Ratzinger Bush si sono incamminati a piedi nei viali vaticani fino alla Grotta di Lourdes. Qui era stato allestito un a salotto all’aperto, un tavolino di legno chiaro e quattro poltroncine all’ombra di un gigantesco cedro. Qui si sono accomodati il papa, il presidente, la moglie Laura e il cardinal, per ascoltare i mottetti intonati dal coro della Sistina. Bush non ha resistito a battere il ritmo a un brano di Palestrina. E poi, fuori protocollo, ha voluto salutare personalmente i giovani cantori.

Infine i saluti finali, cordialissimi. Poi la coppia presidenziale è risalita a bordo della limousine, intorno a mezzogiorno: destinazione, l’aeroporto di Ciampino, Da dove l’Air Force One è ripartito, con destinazione Parigi.

E’ terminata così l’intensa trasferta romana di Bush, impegnato in un otur europeo centrato sull’allarme per la crisi con l’Iran. Ieri il presidente americano ha incontrato il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e il premier Silvio Berlusconi.

(13 giugno 2008)

© Copyright repubblica.it – articolo disponibile qui.

Bush dal Papa: “Impegno sui valori morali”

13 giugno 2008

CITTA’ DEL VATICANO – Venerdì, 13 giugno 2008 (Vatican Diplomacy). Rilanciamo il pezzo del quotidiano “il Giornale” sull’udienza privata del Presidente degli Stati Uniti George W. Bush con Benedetto XVI:

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Bush dal Papa: “Impegno sui valori morali”

di Redazione

 

Città del Vaticano – E’ stato un commiato tra vecchi amici quello stamane tra Papa Benedetto XVI e il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, in un’atmosfera familiare e rilassata, complice il bellissimo scenario dei giardini vaticani, tra aiuole fiorite e possenti alberi secolari. Spazio anche alle battute: quando, ad un certo punto, Bush ha chiesto quanto è grande il Vaticano, qualcuno gli ha risposto “non quanto il Texas”. Al che, lui pronto, “ma è sicuramente più importante”.

Nessun raccoglimento spirituale Chi però si aspettava una preghiera o un momento di raccoglimento pubblico davanti alla Grotta della Madonna di Lourdes, che sancisse la loro profonda sintonia spirituale davanti alle telecamere di tutto il mondo o addirittura una ventilata conversione di Bush al cattolicesimo, è rimasto deluso. Benedetto XVI e il presidente statunitense hanno passeggiato, hanno scherzato, hanno ammirato le piante della Santa Sede, ed hanno ascoltato insieme, in modo molto “laico”, i mottetti sacri intonati dal Coro della Sistina, prima di salutarsi.

Il colloquio privato Sul colloquio privato, avvenuto nella Torre di San Giovanni, non è stato ancora distribuito alcun comunicato. La limousine nera del presidente americano è giunta davanti alla Torre di San Giovanni verso le 10:55 circa,scoarta da un imponente corteo della sicurezza. Cosa insolita, in un cerimoniale tutto speciale, Benedetto XVI ha atteso il suo ospite per qualche minuto, mentre il suo fedele segretario, don George, gli aggiustava sorridendo la croce sul petto. “Che onore, che onore, che onore”, ha esclamato un Bush felice e emozionato, scendendo dalla auto e stringendo la mano a Benedetto XVI, seguito dalla moglie Laura, in completo scuro. Nel colloquio Benedetto XVI ha espresso a Buish la propria gratitudine “per la calorosa e speciale accoglienza ricevuta negli Stati Uniti d’America e alla Casa Bianca durante il suo viaggio nell’aprile scorso, e per l’impegno nella difesa dei valori morali fondamentali”. Al centro dei colloqui anche i principali temi di politica internazionale, fra questi “le relazioni fra gli Stati Uniti d’America e l’Europa, il Medio Oriente e l’impegno per la pace nella Terra Santa, la globalizzazione, la crisi alimentare ed il commercio internazionale, l’attuazione degli obiettivi del millennio”.

Il saluto dalla torre Subito, i sue uomini sono saliti al primo piano della Torre medioevale, dove si trova una studio. La First Lady ha invece atteso nel salotto al pianterreno, insieme all’ambasciatrice statunitense presso la Santa Sede, Mary Ann Glendon, raggiunte poi, con una ventina minuti di ritardo, dal cardinale segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone. La conversazione a quattr’occhi è durata una trentina di minuti. Subito dopo, il Papa ha accompagnato l’amico Bush sulla terrazza della Torre per mostrargli il magnifico panorama su San Pietro e su Roma che da lì si gode. Giù nel salotto poi, il tradizionale scambio di doni: Benedetto XVI ha regalato al suo ospite una grande foto autografata ritraente sia il Papa sia il presidente Bush che la moglie Laura, tutti e tre sorridenti e felici. L’inquilino della Casa Bianca ha ricambiato con un’altra foto autografata da lui che lo mostrava insieme a Ratzinger nell’atto di un saluto. Insieme hanno riso di aver avuto la stessa idea; poi, il presidente ha consegnato a Benedetto XVI anche un album fotografico del suo trionfale viaggio negli Usa, avvenuto dal 15 al 20 aprile scorso. Regalo molto apprezzato.

Nei giardini vaticani Dopo le foto di rito, il Santo Padre Bush si sono incamminati a piedi nei viali vaticani fino alla Grotta di Lourdes. Qui era stato allestito un a salotto all’aperto, un tavolino di legno chiaro e quattro poltroncine all’ombra di un gigantesco cedro. Qui si sono accomodati il papa, il presidente, la moglie Laura e il card. Bertone, per ascoltare i mottetti intonati dal coro della Sistina. Bush non ha resistito a battere il ritmo ad un brano di Palestrina. Infine i saluti finali, cordialissimi: un arrivederci, più che un addio, anche se nel futuro Bush non sarà più l’uomo più potente del mondo.

© il Giornale.it – articolo disponibile qui.

Bush, il giallo della conversione sulla visita da Benedetto XVI

13 giugno 2008

CITTA’ DEL VATICANO – Venerdì, 13 giugno 2008 (Vatican Diplomacy). Il pezzo di repubblica.it:

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L’INCONTRO. A metà mattinata è previsto il colloquio con il Papa
poi una passeggiata esclusiva nei giardini vaticani

Bush, il giallo della conversione sulla visita da Benedetto XVI

di MARCO POLITI

Il presidente degli Stati Uniti Bush

CITTÀ DEL VATICANO – Quella magica festa di compleanno allestita per Ratzinger nei giardini della Casa Bianca ha lasciato la sua impronta nell’animo di Joseph Ratzinger. E così Benedetto XVI rilancerà stamane, accompagnando George W. Bush in una passeggiata esclusiva nei giardini vaticani, dove ai tempi di Pio XII tutti dovevano eclissarsi quando appariva la “bianca figura”.

Bush – il “presidente cattolico” com’è soprannominato in America per la sua sfrenata ammirazione nei confronti di Ratzinger – riceverà così la sua consacrazione. Il pellegrinaggio alla grotticella della Madonna di Lourdes ha stuzzicato la fantasia del jet set ecclesiastico-mondano, che si sfiora nelle cappelle barocche in cui atei devoti esultano per la liturgia latina e guerrieri della fede sognano un Occidente ri-cristianizzato. E ha cominciato a circolare la rosea leggenda di una possibile conversione di Bush al cattolicesimo. Non ha detto forse Nancy Brinker, capo del protocollo statunitense, che il presidente è un “enorme fan del Papa”? Non ha soggiunto che nutre un “rispetto totale” per lui e i suoi sforzi per la pace, l’istruzione e la lotta alla povertà?

In fondo il salto l’ha fatto l’inglese Blair e cattolico – tra i Bush – è già il fratello Jeb, governatore della Florida: stato felice dove i pasticci elettorali delle elezioni del 2000 sono già una prova di vitalità cattolica a fronte della noia tradizionalmente protestante. Che George W. Bush, “cristiano rinato” in linea direttamente con Dio, accetti il sistema gerarchico cattolico, non appare a portata di mano.

In Vaticano, con il dito sulle labbra, smentiscono conversioni in atto. Innegabile è che lo spirito messianico di Bush e la sua fascinazione per il pensiero cattolico si sposino con la condanna di Ratzinger dei demoni del XXI secolo. Quelle “Tenebre” di relativismo, droga, emarginazione, razzismo, violenza, degradazione, egocentrismo, avidità, cinismo che Bendetto XVI evocò a New York.

In Segreteria di Stato, intanto, i veterani più disincantati si chiedono quanto pontefice e presidente parleranno dei nodi tosti di politica internazionale. Terrasanta e Iran sono in cima all’agenda. L’editorialista di politica estera dell’Avvenire, Vittorio Emanuele Parsi, atlantista convinto, ha scritto con rammarico che la strategia di Bush si è mostrata molto vicina al fallimento: “Non ha annichilito al Qaeda, non ha debellato la minaccia talebana in Afghanistan, non è riuscito a far progredire la democrazia in alcuna regione del mondo musulmano”.


(13 giugno 2008)

Intervista dell’ambasciatrice americana Mary Ann Glendon al quotidiano “Avvenire”

13 aprile 2008

CITTA’ DEL VATICANO – Domenica, 13 aprile 2008 (Vatican Diplomacy). Il seguente articolo è apparso sul quotidiano “Avvenire” di oggi.

Le sfide del viaggio americano

Mary Ann Glendon: dal Papa alle Nazioni Unite un discorso che lascerà il segno

Da Roma Salvatore Mazza

Nessuno, è chiaro, sa che cosa dirà. Ma «certamente» sarà qualcosa «che ci farà pensare e discutere» negli anni a veni­re, com’è successo con le visite all’Onu dei suoi predecessori. E tanto più ora, «che tutto il mon­do è cambiato».

È così che Mary Ann Glendon aspetta il discorso che Bene­detto XVI, venerdì prossimo, terrà alle Nazioni Unite du­rante la sua visita negli Stati Uniti, che avrà inizio dopo­domani. Visita «pastorale», sottolinea la nuova amba­sciatrice degli Stati Uniti pres­so la Santa Sede, in carica dal­lo scorso febbraio, che in que­sta intervista ad Avvenire, pur riconoscendo le «difficoltà» del passato anche recente, sottolinea: «Forse mai come oggi Santa Sede e Stati Uniti sono state vicine». Nata a Dal­ton, in Massachusetts, tre fi­glie, già professore ordinario di Diritto comparato alla fa­coltà di Legge di Harvard, pre­sidente della Pontificia Acca­demia delle Scienze Sociali e capo della delegazione vati­cana alla conferenza di Pe­chino sulla donna nel ’95, nel suo nuovo ruolo la Glendon non si sente oggi ‘dall’altra parte’: «Non devo costruire relazioni – dice – ma esten­derle ».

Nove anni dopo l’ultima vi­sita di Giovanni Paolo II, Be­nedetto XVI arriva negli Sta­ti Uniti. Un Paese, dopo l’11 settembre, molto diverso ri­spetto al ’99. Ma quanto di­verso,e come?

Io credo che la prima cosa da osservare al riguardo è che tutto il mondo è cambiato, non solo gli Stati Uniti. Così come credo che solo tra cin­quant’anni gli storici potran­no realmente comprendere ‘quanto’ sia cambiato. Quel che ora posso dire è che gli Stati Uniti hanno sperimentato un senso di vul­nerabilità prima sconosciuto; ma questo tutta­via non è stata una cosa completamente nega­tiva. Senza dubbio siamo diventati più consa­pevoli dell’importanza di comprendere culture e religioni diverse, consapevolezza tanto più ne­cessaria in un mondo sempre più interdipen­dente.

L’11 settembre ha determinato anche un cam­bio nelle relazioni con la Santa Sede, con una divaricazione piuttosto chiara sul tema della guerra, specie dopo l’inizio della campagna in Iraq. Distanza analoga sembra essersi puoi de­terminata sui temi economici, in particolare ri­guardo alla globalizzazio­ne. Cosa può dirci al ri­guardo?

Quanto alla prima parte della sua domanda, mi sembra che le differenze tra la Santa Sede e gli Stati Uniti siano state talvolta e­sagerate. È vero che ci so­no state opinioni diverse sia circa l’azione diploma­tica, sia riguardo l’azione militare degli Stati Uniti, prima che questa iniziasse. Ora, tuttavia mi sembra che la Santa Sede stia ap­poggiando con convinzio­ne gli sforzi degli Stati Uniti in Iraq per stabilire la pace, la sicurezza e la possibilità di auto-governo del Paese, così come ha certamente lo stesso atteggiamento verso gli sforzi degli Stati Uniti per dare sicurezza contro il terrorismo e spe­cialmente contro l’uso del­la religione come pretesto per la violenza. Anche ri­guardo alla globalizzazio­ne, credo che la posizione del presidente Bush ri­guardo in generale ai temi dello sviluppo sia molto vi­cina, in diversi punti, al­l’insegnamento della Cen­tesimus annus.

In che termini?

La globalizzazione ha il potenziale di portare grandi benefici a tutti nel mondo, incluse le a­ree più povere e marginali, ma allo stesso tem­po non ci si può nascondere che esistano molti rischi. La domanda allora è: come far sì che tut­ti possano godere dei benefici della globalizza­zione? Il presidente Bush ha detto recentemen­te che non ci può essere una globalizzazione del mercato senza una globalizzazione della solidarietà, e alle mie o­recchie in queste parole è ri­suonata l’eco di quanto Gio­vanni Paolo II disse alle Na­zioni Unite nel 1995: ‘Ci sia­mo assunti il rischio della li­bertà, ora dobbiamo assu­merci il rischio della solida­rietà’

Adesso sarà Papa Ratzinger ad andare all’Onu. E c’è mol­ta attesa per il discorso che rivolgerà all’As­semblea. Perché tanta attenzione?

In parte perché il Papa è un leader per così dire ‘globale’, e viene sul più impor­tante pulpito globale nel mondo, le Nazioni unite. E allo stesso tem­po penso che un’attesa così gran­de sia dovuta anche al ricordo de­gli importanti discorsi tenuti al­l’Onu da Paolo VI e da Giovanni Paolo II. Certo, noi non sappiamo, nessuno sa che cosa dirà Bene­detto XVI: ma sarà sicuramente qualcosa di cui tutti quanti dovre­mo discutere, su cui dovremo pensare per mol­ti anni, così come ancora stiamo facendo oggi su quanto disse nel ’95 Papa Wojtyla.

Parlando più in generale, perché l’attività diplomatica della Santa Sede è tanto con­siderata?

Credo che la ragione di questo stia nel ri­spetto con cui la diplomazia della Santa Se­de è considerata praticamente da ogni na­zione nel mondo. La domanda a questo punto potrebbe essere: ma perché è così ri­spettata? E la risposta, secondo me, sta nel fatto che, giorno dopo giorno, in tutte le se­di diplomatiche la voce della Santa Sede tenta di mantenere la persona umana al centro di ogni preoccupazione. In termini concreti, ciò significa che quando un di­battito, alle Nazioni Unite o in altre sedi, fi­nisce con lo scivolare su terreni meramen­teeconomici, o di potere, o di altri interessi, la diplomazia della Santa Sede riporta sempre l’at­tenzione sulla dimensione umana dei proble­mi.

La definirebbe anche lei ‘la migliore diploma­zia del mondo’?

Beh, penso che ci sia una buona ragione perché tante persone lo pensano. È un gruppo vera­mente piccolo, di persone molto motivate, con intelli­genza, esperienza, rispetto per ogni cultura

Lei è stata la prima donna capo di una delegazione uf­ficiale del Vaticano, a Pechi­no, e a presiedere un orga­nismo della Santa Sede. Og­gi si trova ‘dall’altra parte’, come rappresentante del suo Paese, che in passato – per esempio le conferenze del Cairo e di Pechino – s’è trovato su sponde antagoniste rispetto al Vati­cano. Come si sente in questa sua nuova posi­zione?

È vero che in quelle occasioni ci furono nume­rose differenze d’opinione tra Santa Sede e Sta­ti Uniti. Oggi tuttavia su quelle stesse questioni di cui si dibatteva al Cairo e a Pechino, popola­zione, sviluppo e condizione della donna, le po­sizioni tra la Santa Sede e il governo degli Stati Uniti sono molto simili. Quanto alla mia posi­zione, non mi sento ‘dall’altra parte’, il mio ruo­lo qui non è di costruire relazioni, che sono già molto forti, ma cercare di rafforzarle e di esten­derle in un sempre maggior numero di aree.

© Copyright Avvenire, 13 aprile 2008

L’ambasciatrice USA presso la Santa Sede Mary Ann Glendon: abbiamo bisogno l’uno dell’altro. I contrasti sulla guerra in Iraq sono archiviati

8 marzo 2008


Presentazione delle Lettere Credenziali di S.E. la Signora Mary Ann Glendon, Ambasciatore degli Stati Uniti d’America

«Vaticano alleato prezioso dell’America per il dialogo con il mondo islamico»

Massimo Franco

ROMA — «I contrasti sulla guerra in Iraq ci sono stati. Ma sappiamo bene quanto adesso il Vaticano stia appoggiando lo sforzo americano di riportare quel Paese alla normalità. Qualcuno sostiene che l’alleanza fra Stati Uniti e Santa Sede sia più preziosa oggi che qualche anno fa. Di certo, la Chiesa cattolica è presente in ogni parte del mondo: anche dove noi siamo assenti o non riusciamo a farci capire. E può contare su un flusso continuo di informazioni che ci possono aiutare a comprendere meglio quanto succede in realtà difficili da decifrare… ».

Dalla villa che ospita l’ambasciata presso la Santa Sede, affacciata sul Circo Massimo, Mary Ann Glendon archivia i contrasti fra USA e Vaticano sul conflitto iracheno. E in questa intervista al Corriere, la prima dopo la nomina, racconta un’alleanza cresciuta al di là di ogni previsione.
Un secolo e mezzo fa, un soffio per la storia, a Washington i protestanti entravano in chiesa per verificare la diceria secondo la quale gli inviati del papa avevano le corna.

Il 16 aprile prossimo, invece, nella stessa città un pontefice metterà piede per la prima volta alla Casa Bianca, accolto con tutti gli onori.

«D’altronde, sarà il giorno del compleanno di Benedetto XVI. E non credo che il presidente Bush perderà l’occasione per ospitarlo: anche se la visita del papa sarà pastorale », spiega la Glendon, finora professore di diritto a Harvard. Ma l’ambasciatore è apprezzata anche in Vaticano: fino a pochi mesi fa presiedeva la Pontificia Accademia per le Scienze sociali.

Che significa un papa in visita alla Casa Bianca, ambasciatore?

«Mi sembra l’evoluzione naturale dei rapporti che il presidente George Bush ha avuto prima con Giovanni Paolo II e poi con Benedetto XVI».

In precedenza nessun pontefice ci era mai andato.

«Credo che dipenda dal carattere molto personale del presidente Bush. È un uomo amichevole. E anche questo papa non è soltanto il professore timido di cui si parla: è una persona amichevole anche lui. Al fondo, credo ci siano le preoccupazioni comuni che Stati Uniti e Vaticano condividono a livello mondiale».

Finora si è trattato di rendere normali le relazioni. Adesso che lo sono, come possono svilupparsi?

«Non ho una sfera di cristallo. Ma è facile prevedere che in un mondo così turbolento, si tratti di due entità destinate ad essere partner naturali per la proiezioni mondiale che mostrano di avere. C’è un comune desiderio di proteggere e promuovere la dignità umana e la libertà religiosa. E non solo la necessità ma l’urgenza di promuovere il dialogo fra le culture e le religioni. In questo campo la Santa Sede ha un’esperienza unica, con il suo prestigio morale».

Che cosa rimane del contrasto fra il presidente Bush e papa Giovanni Paolo II sulla la guerra in Iraq?

«C’è stato. Ma sappiamo quanto oggi il Vaticano stia sostenendo gli Stati Uniti per ricostruire e riportare quel Paese alla normalità ».

L’esodo delle comunità cristiane nel mondo islamico continua, però.

«Credo che la situazione per i cristiani in quei Paesi rimanga difficile. È una realtà estremamente precaria e ci vorrà del tempo per stabilizzarla».

Ha l’impressione che sia il Vaticano ad avere più bisogno di voi, o voi del Vaticano?

«Credo che abbiamo bisogno l’uno dell’altro. E che sia assolutamente necessaria anche la collaborazione di altri Stati in quella regione del mondo. Da soli, né USA né Vaticano possono bastare; forse non basta più nemmeno un’alleanza limitata a loro due».

Sull’embargo a Cuba avete posizioni divergenti.

«Sui mezzi, forse. Ma Stati Uniti e Vaticano puntano entrambi a fare in modo che Cuba diventi una libera democrazia».

Seguirete il consiglio vaticano di togliere l’embargo?

«Credo che i governanti cubani abbiano in tasca la chiave che servirebbe a togliere l’embargo: basterebbe che liberassero gli oppositori, e che non facessero aggredire e arrestare le persone che distribuiscono la Dichiarazione per i diritti dell’uomo, com’è accaduto di recente».

Qualcuno negli USA ha criticato la sua nomina ad ambasciatore per le cariche che ricopre in Vaticano. Si è parlato di conflitto di interessi.

«Le cariche che ricoprivo: mi sono dimessa. E comunque mi erano state date come accademica. Il fatto è che anche noi siamo in un anno elettorale, e tutto diventa motivo di contesa. Ma alla fine il Congresso mi ha votato senza distinzioni. D’altronde non ho un profilo politico: sono registrata nelle liste elettorali americane come indipendente, e faccio il professore universitario. Poi, capita che la mia Chiesa sia quella della Santa Sede. Credo tuttavia che questo retroterra e il dettaglio di non essere estranea al Vaticano non siano un handicap ma un’opportunità. Mi aiuteranno a servire meglio gli interessi del mio Paese».

© Copyright Corriere della sera, 7 marzo 2008